La Nuova Sardegna

Ulassai, sos della pronipote: «Non uccidiamo il sogno di Maria Lai»

di Giusy Ferreli
Ulassai, sos della pronipote: «Non uccidiamo il sogno di Maria Lai»

«Mi rattrista la lite giudiziaria tra mia zia e la Fondazione. Il lascito al paese è un atto d’affetto per la terra che amava»

15 febbraio 2021
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NUORO. Dalla celebre prozia Maria Lai, ha ereditato il nome e la sensibilità artistica. Ma questa non è l’unica eredità lasciata dall'artista ogliastrina alla designer Maria Diana. «So, per averlo sentito dalle sue labbra che, per Maria Lai, l’arte deve avere una funzione pubblica e sociale. Questo è stato il suo più grande insegnamento, un insegnamento che soleva impartire a chi, come me, la stava ad ascoltare».

La pronipote, che vive e lavora Roma, per la prima volta rompe la consegna del silenzio che si è data in tutti questi anni. Lo fa in un momento particolarmente delicato che vede una frattura forse insanabile tra l’erede e la fondazione voluta dalla stessa Maria Lai nel 2006. «Non sono mai intervenuta pubblicamente ma ho deciso di farlo in questo frangente per offrire il mio punto di vista su una vicenda che mi rattrista tanto» dice ancora Maria Diana, testimone suo malgrado della battaglia a suon di carte bollate tra sua zia, Maria Sofia Pisu, erede dell’artista e sorella di sua madre, che ha portato in tribunale la “Stazione dell’Arte”, costituita dall'artista con la donazione di 140 opere come ultimo atto di amore nei confronti di Ulassai, suo paese natale. Una guerra combattuta sull’interpretazione della norma che disciplina il diritto d’autore (riconosciuto in sede cautelare a Pisu dal giudice di Cagliari Bruno Malagoli) e che, se da un lato inibisce la pubblicazione di tre volumi, dall’altro rischia di bloccare l’attività del museo diretto da Davide Mariani e vanificare quanto costruito in 16 anni nel piccolo borgo ogliastrino dall'istituzione finanziata da Comune di Ulassai, Regione e Fondazione di Sardegna.

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«Maria Lai – racconta ancora la designer, allieva dell'artista – non voleva che i membri della famiglia interferissero nella gestione del suo lavoro. Per questo ha voluto che della sua opera si occupassero sempre dei professionisti. Per questo ha fatto nascere una fondazione: è stata lei ad individuare il primo nucleo di giovani ulassesi ai quali consegnare la sua eredità artistica affinché diventasse un patrimonio collettivo».

«Il suo desiderio, quello di realizzare la sua grande ultima opera è un altro regalo al suo paese natale. Il suo cuore era lì, lo ha dimostrato in tutti modi. A partire dal 1981, anno della straordinaria esperienza di "Legarsi alla montagna". Un atto d’amore assoluto perché voleva che il mondo intero parlasse di Ulassai così come è accaduto».

Di quel legame fortissimo con il paese che ospita le ceneri della prozia, parla ancora Maria Diana. La donna, 47 anni, nata a Cagliari e vissuta in Piemonte, ha intessuto un rapporto speciale con quella donna esile che con poche altre ha rivoluzionato il panorama artistico. «Una volta cresciuta la raggiungevo a Roma nel suo studio. Poi quando ha fatto ritorno in Ogliastra la raggiungevo a Cardedu e Ulassai».

Quanto fosse viscerale il rapporto che la legava alla comunità radicata nella suggestiva cornice dei Tacchi ogliastrini lo testimonia il lascito alla Stazione dell'arte che, per Maria Diana, rappresenta non un semplice museo ma la sua ultima opera consegnata al futuro. «Posso dire che l’attività della Stazione va nella direzione auspicata da lei. Maria Lai ha messo un seme, dicendo a tutti quali fossero le sue intenzioni. Voleva donare perché Ulassai fosse il luogo che è diventato: un crocevia di esperienze e di crescita culturale e sociale per una zona da sempre al margine della vita culturale isolana. Temo – è la sua conclusione – che il suo messaggio, e cioè che l’arte deve poter continuare a parlare a tutti, possa essere snaturato. E sarebbe davvero un peccato».

©RIPRODUZIONE RISERVATA

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