La Nuova Sardegna

a tu per tu

Una lettera per rivelarti quello che non ho mai detto

di Silvia Sanna
Elena Mascia, giornalista, ideatrice del progetto "Tu racconti io scrivo"
Elena Mascia, giornalista, ideatrice del progetto "Tu racconti io scrivo"

Si chiama “Tu racconti Io scrivo”: le emozioni affidate a un intermediario. L’ideatrice Elena Mascia: aiuto le persone a liberarsi e a ricomporre rapporti

09 aprile 2021
5 MINUTI DI LETTURA





SASSARI. Eccola lì, in quelle pagine che sanno di amore, ricordo, rimpianto e raccontano sogni. La bimba che sarebbe stata, la neonata che piange e chiede conforto, la scolaretta con le trecce, la ragazzina ribelle, la giovane donna che capisce, torna indietro e assomiglia sempre più a sua madre. Una lettera per chi non c’è ma vive nel cuore di chi per nove mesi l’ha tenuta dentro di sé parlandole e fissando in un quaderno tutte le emozioni. Immaginando come la sua creatura avrebbe mosso i suoi passi nel mondo. È una mamma l’ultima persona che in ordine di tempo si è rivolta a Elena Mascia: «Una madre adulta che 20 anni fa non ha visto la sua bimba nascere. La sua esistenza si è conclusa nel grembo materno, quando ormai mancava pochissimo al parto», racconta Elena. Questa madre, che dopo ha avuto la fortuna di avere altri figli, è mossa da un’urgenza comunicativa: vuole scrivere alla sua bimba, spiegarle quanto la desiderava e come lei, pur non essendo mai nata, c’è sempre stata. Una lettera per lei e per la famiglia, di cui Carolina - questo il suo nome - ha iniziato a fare parte da quando è stata concepita. Un vortice di emozioni che Elena Mascia riporterà sulla carta: lei, giornalista ed esperta di comunicazione, diventa il tramite, attraverso la sua iniziativa che si chiama “Tu racconti Io scrivo” per dare parola ai sentimenti. Una lettera per Carolina, per una figlia adulta, per un fratello o una sorella. Una lettera per liberarsi ma anche per sbloccare rapporti tesi o sospesi, incancreniti intorno a un ostacolo o a un problema che da soli non si riesce a superare. Una lettera di carta, palpabile, dentro una busta elegante, da consegnare a mano e conservare in un cassetto: qualcosa che resta, nulla a che vedere con la freddezza di un messaggio in chat, di un sms volatile, di un post che si cancella con un click.

Dillo con una lettera. Elena Masscia è di Olbia e ha 41 anni. Mamma da giovanissima – ha un figlio di 24 anni e una figlia di 20 – giornalista pubblicista, dice che per lei comunicare è una missione. «Da bambina era silenziosa, mi piaceva osservare. Mi colpivano i modi di comunicare conflittuali tra le persone, conoscenti e non, e mi chiedevo perché ci fosse bisogno di usare certi modi, perché non si potesse abbassare la voce. Il mio sguardo si è sempre soffermato su persone che non riuscivano a capirsi. Ecco perché “Tu racconti Io scrivo” rappresenta il coronamento di qualcosa a cui ho sempre pensato, chi si rivolge a me ha emozioni forti da esprimere e un vissuto denso di situazioni, felici e dolorose, che hanno segnato il rapporto con un’altra persona. In molti casi si tratta di rapporti interrotti che non si riesce a ricucire, se non appunto con la forza della parola. Spesso ruota tutto intorno a un evento o a un comportamento che ha creato conflittualità ma che non si è stati capaci di affrontare. Oppure la vergogna di manifestare il proprio io, che porta alla chiusura». È questo il caso di una giovane donna che in una lettera alla madre parla apertamente della sua omosessualità, spiega perché non si è sentita accettata, chiede scusa se in qualche modo ha deluso le aspettative. Lo fa attraverso Elena, che elabora pensieri, parole, ricordi, «ma anche rabbia o rimorso» e li trasforma in una lettera. Dove anche solo una parola, se detta in un certo modo, può cambiare il corso della storia. «Il momento più bello è quello della consegna, quando chi si è rivolto a me legge il testo e mi dice “grazie, sembra che l’abbia scritta io”».

Le interviste empatiche. Prima di ogni lettera c’è un lavoro di studio e di conoscenza. Elena ha bisogno di sapere: «Chiedo quale motivazione c’è dietro la richiesta, indago sul rapporto tra le persone coinvolte. Pretendo sincerità, se percepisco ombre o un secondo fine mi tiro indietro». Per esempio, niente da fare se viene fuori che i protagonisti vivono una relazione violenta – marito e moglie, figli e genitori – «perché il problema va affrontato in altro modo», dice Elena che conosce l’argomento molto bene: è infatti responsabile della comunicazione per l’associazione Cam, Centro di recupero per autori di comportamenti violenti, che ha quattro sedi in Sardegna: «Non può essere una lettera a mediare né quello che scrivo può essere utilizzato per perseverare in determinati comportamenti». Schiettezza è la parola d’ordine, per fare in modo che Elena entri nelle situazioni, le viva attraverso l’altra persona e i suoi ricordi, e le possa declinare. «Le interviste non durano mai meno di un’ora e mezzo, io prendo tanti appunti. Spesso ho necessità di stabilire un secondo contatto, chiedo delle foto per vedere i volti delle persone o frammenti di vita. Dopo l’intervista c’è una pausa, quello che sentito viene rielaborato dentro di me. Dopo qualche giorno inizio a scrivere, quasi sempre di getto, poi con più calma, con sottofondo musicale per me indispensabile. Ho bisogno di circa 4-6 ore per scrivere una lettera. Quando è finita la lascio “riposare” un giorno per distaccarmi dalle parole. Poi la riprendo in mano, se servo faccio alcune correzioni». Il testo è pronto per essere stampato e spedito. Ma non su una carta e dentro una busta qualsiasi: il mittente sceglie materiale pregiato, come la carta pergamena, arricchita con decorazioni. Un messaggio curato nel contenuto e gentile nella forma, un modo antico e oggi assolutamente innovativo per esprimere un sentimento sino a quel momento sopito.

In Primo Piano

Video

Stefano Cherchi addio: a Sassari l'applauso della folla commossa per il fantino morto in Australia

Le nostre iniziative