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Il migrante atleta vola in pista: l'intera Porto Torres fa il tifo per lui

Silvia Sanna
Il migrante atleta vola in pista: l'intera Porto Torres fa il tifo per lui

Si chiama Kaoussou ed è senegalese, corre con l’Atletica Porto Torres. Di giorno fa l’ambulante e di sera si allena: ora rischia di essere rimpatriato

13 maggio 2021
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SASSARI. «Cossu non esagerare, Cossu riposati altrimenti svieni come l’altra volta». E Cossu si ferma un attimo, spalanca quel sorriso largo e va. Uno, due, tre giri di pista, solito allenamento al tramonto, dopo tante ore fuori dal market, prima di rientrare a Platamona. Alle 22 c’è il coprifuoco e soprattutto c’è buio lungo la strada che percorre in bicicletta sino al centro d’accoglienza. Si chiama Kaoussou Djitte: si pronuncia “Kassù” alla francese ma qui a Porto Torres ci ha messo poco a trasformarsi in Cossù e poi nel sardissimo Cossu. Lui è contento, perché si sente ancora più a casa. Una casa che non vuole lasciare. Kassù-Cossu non vuole tornare indietro, nel suo Senegal da cui è scappato 5 anni fa, fuga dalla povertà e da una vita complicata. Niente guerre, ma un forte disagio personale che lo faceva sentire in trappola. Ora è tutto diverso, anche se i soldi sono pochi e il futuro è denso di nebbia. Il sorriso di Kassù resta largo ma gli occhi si incupiscono quando dice con il suo italiano stentatissimo: «Questi sono i miei amici, io ho loro, non li voglio lasciare». Ed ecco che ai bordi della pista di atletica del campo comunale di Porto Torres, gli sguardi si abbassano e le labbra si piegano all’ingiù sotto le mascherine: questo giovane uomo di 34 anni è entrato nel cuore di tutti, con la sua educazione e la passione per lo sport, l’atletica, che lo fa sentire e volare leggero. Dirigenti, allenatori e atleti della società dilettantistica Atletica leggera Porto Torres, lo hanno adottato più di tre anni fa e sono spaventa all’idea di perderlo: il rischio è alto, a luglio sarà la commissione migranti a decidere se ci sono le condizioni per farlo restare in Italia o deliberare il rimpatrio. Sulla carta Kassù-Cossu parte in netto svantaggio, ma da queste parti ai suoi sprint sono abituati.

Vita di corsa. Alle 19.30 è in pista, corre sotto lo sguardo attento del suo allenatore Antonio Onida. Si ferma, respira, riparte, guarda l’orologio, controlla il tempo, un altro giro. Alle 20 l’allenamento è finito e lui un po’ trema nella maglietta leggera. «Cossu mettiti la felpa – gli dice Onida – non ti vorrai ammalare...» Sono preoccupati per lui perché sta seguendo diligentemente il Ramadan e dall’alba non tocca cibo. «Un paio di volte si è sentito male, è svenuto durante l’allenamento – dice Antonio Onida – ma nonostante questo non molla. Kossù non molla mai». Lui annuisce, capisce un po’ l’italiano ma parlare è una grande fatica. Spiega che qualcuno gli sta insegnando la lingua, aggiunge che per l’esame di luglio esprimersi in italiano davanti alla commissione gli darebbe qualche chance. «Ci sto provando – dice – loro mi aiutano». Lo stanno aiutando anche a rinnovare il permesso di soggiorno, scaduto a metà aprile: senza quello Kassù, tesserato Fidal, non può gareggiare. «Ed è un peccato, perché è un bravo atleta – dice Antonio Onida – ha iniziato molto tardi ma è cresciuto tanto. Ha vinto quattro gare, l’ultima i 5mila metri a Sassari il 10 aprile, e arriva sempre sul podio. Ha buone gambe e non si stanca mai. Ha una dedizione commovente, è un esempio di disciplina e rispetto per i più giovani che da lui possono imparare tanto. Questa per me è la vera integrazione, se dovesse ritornare in Senegal qui mancherebbe a tutti».

Dall’alba al tramonto. Sono le 20.20 e Kassù riguarda l’orologio: «Devo rientrare», dice. E balbetta un po’ quando spiega che al Centro di accoglienza di Platamona, all’hotel Toluca «alle 21 c’è la cena». Lui mangia insieme agli altri ospiti «un solo altro senegalese, gli altri sono nigeriani e gambiani», poi va in camera a dormire. Lorenzo Vigliotta, compagno di allenamenti e suo principale interprete gli dice «dai, racconta la tua giornata». E Kassù ci prova, inseguendo le parole, lottando contro la balbuzie e cercando aiuto con lo sguardo. «Esco presto e vengo qui in bici. Se piove o fa troppo freddo lui (Lorenzo ndr) mi viene a prendere in macchina. Poi recupero la mia roba e vado all’ingresso del supermercato». Cinture, calze, batterie, accendini: così Kassù mette da parte qualche soldo da spedire in Senegal: «Lì c’è mia madre, ha 73 anni, è quasi cieca. Le mando 70-80 euro al mese. Mio padre non c’è più, è morto un anno fa». Impossibile capire dove siano i fratelli, sparsi per il mondo. Ma di sicuro quando ha lasciato il Senegal Kassù era solo: «Tanti giorni di viaggio, tanti paesi prima di raggiungere il mare e salire sul barcone». Quanto hai pagato Kassù?: «Mille euro, quasi mille euro». Ma ne è valsa la pena ? «Si si, questa è la mia casa. A Porto Torres voglio stare, voglio correre», dice guardando la pista ormai semideserta. «Viene qui almeno tre volte alla settimana – dicono Nicolino Bisaglia e Claudio Pecorari, presidente e vice presidente dell’Atletica leggera Porto Torres – quando finisce di lavorare fuori dal supermercato. Ci auguriamo che l’attività sportiva che svolge e che noi certifichiamo possa aiutarlo a ottenere il via libera da parte della commissione». «Ci stiamo provando in tutti i modi – aggiunge Gabriele Mureddu, segretario della società e atleta – ma è dura perché la protezione internazionale viene riconosciuta a chi proviene da paesi teatro di guerre e non è il caso del Senegal. Kassù dovrebbe avere un lavoro stabile, anche per questo ci stiamo attivando». Lui ascolta, riguarda l’orologio. Sistema la mascherina, indossa la pettorina arancione e sale sulla bici: il sole è tramontato, c’è l’Iftãr, il pasto serale consentito durante il Ramadan. Saluta, un minuto dopo è una piccola macchia colorata lontano: corre Kassù, un altro sprint in una vita a ostacoli.

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