La Nuova Sardegna

Bètile a Porto Torres, Fois difende la sua idea: l’isola non finisce a Cagliari

di Antonio Ledà
Bètile a Porto Torres, Fois difende la sua idea: l’isola non finisce a Cagliari

Lo scrittore: «Ho toccato un nervo scoperto, la distribuzione delle risorse»

30 giugno 2021
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SASSARI. Se voleva essere una provocazione non c’è dubbio che ha colto nel segno. La proposta di Marcello Fois di realizzare il Bètile progettato da Zaha Hadid nell’area industriale di Porto Torres ha riacceso i riflettori su una serie di problemi mai risolti che tirano in ballo la classe politica regionale e il ruolo degli intellettuali. Fois ha sollevato il velo sulle scelte sempre più “Cagliaricentriche” di chi ha amministrato l’isola negli ultimi decenni e parla, apertamente, di “sperequazione nella distribuzione delle risorse pubbliche”. Lo fa sapendo di avventurarsi su un terreno scivoloso ma senza retrocedere di un millimetro.

Si aspettava di sollevare tutto questo polverone?
«Francamente no, ma non ne sono troppo sorpreso. Il mio voleva essere un ragionamento logico e ben poco rivoluzionario. Ho pensato: c’è un progetto fermo in un cassetto che si può tirare fuori per rilanciare un luogo che ha pagato un prezzo molto alto al fallimento del sogno dell’industrializzazione. La verità è che dietro tutte queste polemiche c’è ben altro che il Bètile. C’è un punto dolente che si trascina da tempo e che sta venendo fuori in maniera evidente: è quello della iniqua distribuzione delle risorse tra il nord e sud dell’isola. E’ questo non lo dice Marcello Fois ma i dati sugli investimenti della Regione negli ultimi decenni».

Riesplode il campanile?
«Mi si sta facendo passare come uno che vuole creare problemi a Cagliari. Ma io amo quella città che è davvero bella e che considero la città di tutti i sardi. Però e innegabile il fatto che il capoluogo ha drenato negli anni la maggior parte delle risorse finanziarie dell’isola. E quello che è finito a Cagliari è stato tolto alle altre città. Aggiungo una cosa. La Sardegna si lamenta - giustamente - di godere di poche attenzioni da parte dello Stato e poi si comporta esattamente nello stesso modo con le sue zone più svantaggiate. L’idea di trasferire il Bètile a Porto Torres non nasce con l’intenzione di togliere qualcosa a Cagliari (che, tra l’altro non ha voluto il museo) ma di riequilibrare le opportunità».

Qualcuno continua a vederlo come un furto o un peccato di lesa maestà...
«Stiamo parlando di risorse e abbiamo toccato un nervo scoperto, non solo della classe politica. In questi giorni ho ricevuto telefonate e messaggi da amici che mi chiedono “ma perchè a Porto Torres e non a Ottana o nel Sulcis”. Ecco io credo che la Sardegna sia una e sia tutta meritevole di attenzioni. E sto cercando di spiegare che se realizziamo un’opera che favorisce il rilancio di Porto Torres stiamo creando benessere per tutta l’isola. Ho parlato di Porto Torres perchè quella città e il suo territorio hanno pagato pesantemente il prezzo della crisi industriale e delle mancate bonifiche. Non si può negare l’esistenza del problema e la cattiva distribuzione dei fondi pubblici a tutto vantaggio del sud dell’isola. Penso, per esempio, alla cultura - settore che conosco bene - dove quasi tutte le manifestazioni (con i relativi contributi), sono concentrate nel Cagliaritano. Questo non va bene e bisogna dirlo. A maggior ragione in una regione povera come la nostra dove le rendite di posizione hanno un peso specifico ancora maggiore».

E’ tutta colpa della politica?
«La politica fa i suoi interessi e si concentra sui posti dove c’è una maggiore presenza di persone e, dunque, di elettori. Ma in questo caso si va oltre la politica. Ho la sensazione che la proposta di realizzare il Bètile a Porto Torres abbia scombussolato le certezze di troppa gente e lo abbia fatto in un momento cruciale, alla vigila dell’arrivo dei soldi del Recovery plan. Ecco perchè la proposta dà fastidio».

Come si spiega il declino economico e culturale di una città come Sassari, che pure, per anni, ha espresso eccellenze in campo nazionale?
«E’ calato il livello della classe politica cittadina. Sassari si è fatta rappresentare da personaggi poco affini alle necessità del territorio. “Onorevoli” che una volta eletti hanno pensato solo alla loro carriera».

Torniamo al Bètile. L’architetto Stefano Boeri sostiene che quello è un progetto pensato per il quartiere di San’Elia e rilancia proponendo di candidare Sassari come città capitale della cultura. La convince?
«Boeri ha raccolto il senso provocazione ma ci sono delle cose nel suo ragionamento che non condivido. La prima è che il progetto del Bètile non si possa trasferire da Sant’Elia. Io non credo che sia così come non credo che il “bosco verticale” sia stato pensato per Milano e non si possa riproporre a Parigi o al Londra. Boeri parla di un progetto di recupero per l’immensa area industriale abbandonata dai tempi della Sir ma questo significa allungare i tempi col rischio di non concludere nulla. Il progetto del Bètile c’è già. E’ stato pagato e giace in un cassetto. E’ stato pensato per il quartiere Sant’Elia? Adattiamolo per Porto Torres e battiamoci perchè venga realizzato al più presto».

Sassari capitale della cultura?
«Anche questo mi sembra un diversivo. Capisco l’interesse delle amministrazioni locali e delle forse sociali del Nord Ovest dell’isola ma mi sembra un discorso che porta troppo lontano e rischia di non approdare da nessuna parte. In questo momento bisogna essere concreti e avere delle priorità. Il Bètile è una. E aggiungo una cosa: io lo proposti all’allora presidente della Regione Renato Soru, sedici anni fa, quando il consiglio comunale di Cagliari decise di non farne nulla. Non è un’idea nata adesso e non è casuale. Da tempo sostengo che l’isola è una sola e che non può crescere con velocità diverse da zona a zona».

L’idea è lanciata, cosa bisogna fare per trasformarla in realtà?
«Bisogna tenere acceso il dibattito. Noi intellettuali abbiamo il compito di fare i cani da guardia alla classe politica anche se spesso ci adattiamo a fare i cagnolini da salotto. Io continuerò a parlare perchè tengo alla mia terra e perchè so che i politici passano ma le idee restano. E vince chi ha gli argomenti giusti per sostenerle».

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