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La vita come un’altalena: Alessandrini vede le vette

Giovanni Bua
L'imprenditore Andrea Alessandrini guida la Nobento di Alghero dal 2015
L'imprenditore Andrea Alessandrini guida la Nobento di Alghero dal 2015

L’ad di Nobento, industria leader nei serramenti: «Il mio riscatto dopo le cadute». Guida 7 aziende e continua ad assumere: ad Alghero in 6 anni da 20 a 249 addetti

30 novembre 2021
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SASSARI. «Se cresci a Montelabbate, un posto che inizia e finisce nei suoi saliscendi, niente da stupirsi che sia tutto un alto e basso la tua vita». Sta raggiungendo vette che sembravano inarrivabili Andrea Alessandrini, 49 anni, con la sua Nobento nel cuore della zona industriale di San Marco, a pochi chilometri dalla Riviera del Corallo, che solo qualche anno fa era avviata a una mesta chiusura e che ora corre a perdifiato, con gli addetti passati da 20 a 249 e un fatturato che nel 2022 sfiorerà i 40 milioni. Sta raggiungendo vette inarrivabili forse perché ha conosciuto clamorose cadute.

«Sicuramente la mia vita ha avuto grandi strappi – racconta mentre viaggia in autostrada in uno dei suoi continui trasferimenti – con un filo rosso, l’ossessione per il tempo. Non mi piace perdere nemmeno un minuto. Dormo quattro ore, perché devo. Penso di essere l’unico al mondo ad essere andato a Shangai per lavoro ed essere tornato in giornata. E ho anche preso il brevetto da pilota».

Una vita “veloce”, iniziata nel placido paesino delle Marche, con mamma Anna e papà Giordano che gestivano un negozio di alimentari. E Andrea che, studente irrequieto («le Industriali a Urbino erano un incubo, mi hanno anche bocciato, anche se a 15 anni realizzavo fornetti elettrici in casa e li vendevo a 10mila lire»), inizia a coltivare la passione per i motori, soprattutto quello del suo kart. A vent’anni si diploma, gareggia, modifica talmente bene i motori che gli avversari iniziano a chiedergli di vendergli i pezzi. «Con i guadagni abbiamo comprato uno scassatissimo Ducato a metano. E con qualche mese di lavoro l’ho trasformato in un camper».

Subito il lavoro da operaio, in una multinazionale pesarese. «Dalla mamma ho preso la tenacia – racconta – da mio padre la versatilità, da entrambi il gusto per lavorare duro». E Andrea corre come il suo kart. Da magazziniere passa alla officina meccanica del gruppo. E costruisce il suo primo motore. Che ha una marcia in più come lui, tanto che nel 1998 si licenzia per diventare socio del suo datore di lavoro, con cui costituisce la “Motori MC Kart”. La Mc cresce, esplode, rientra nel gruppo, ne diventa parte fondamentale. «Io trovo il tempo di sposarmi e nel 2006 nasce Carolina».

Nel 2008 il clima cambia, Alessandrini cede la sua quota di minoranza, e poi va via sbattendo la porta. È l’inizio di una guerra giudiziaria di una violenza devastante. «Il 15 dicembre del 2009 i finanziari sono arrivati a casa mia in piena notte, ho tatuato quella data sul braccio perché per me è fondamentale, il vero inizio».
Alessandrini viene accusato di essere al centro di un’operazione di spionaggio industriale internazionale, di aver lasciato il gruppo per rubargli segreti e brevetti. «Mi hanno sequestrato la casa, i conti, hanno coinvolto i miei parenti. Mi sono dovuto difendere per 10 anni, 150 udienze che non ho mai saltato. Il tribunale di Pesaro è diventata la mia seconda casa. E nel mentre, da 26enne prodigio a 36enne fallito, ho iniziato la mia rinascita. Promettendo a me stesso che non sarebbe mai più successo».

Nel 2010, in un cadente capannone a Cattolica, fonda iVision. «Avevo un’idea: una macchina con visione artificiale che svolgesse in maniera automatica operazioni industriali». È l’ennesimo successo. Oggi iVision è sparpagliata in tre sedi, ed è una delle sette aziende che Alessandrini gestisce. «Lo schema è simile – racconta – è una ricetta imprenditoriale fatta di innovazione spinta, personalizzazione sartoriale del prodotto, velocità di adattamento, di azione».

La stessa che il manager, ormai libero dall’incubo giudiziario e tornato stella di prima grandezza, porta in Nobento, che viene chiamato a guidare a un passo dal fallimento. «Una nuova scommessa. Alla mia idea di impresa ho potuto aggiungere ingredienti nuovi, che non avevano mai avuto a disposizione. Un posto meraviglioso, logisticamente perfetto, con possibilità infinite di investimento e con accesso a una incredibile quantità di manodopera vogliosa di avere finalmente un lavoro, una possibilità di vita. A Cattolica non riesco a trovare un operaio specializzato nemmeno dopo mesi di ricerca. Qui assumerò 40 persone entro novembre, ne avrei potute trovare 400».

Il problema non è la formazione: «Anche se lo sarà in futuro, perché per creare una nuova classe di lavoratori servono anni, e bisogna pensarci ora». Ma per ora basta la “fabbrica”. «I nuovi assunti rimarranno per due mesi, pagati, a guardarsi intorno. Abbiamo capito che mettere qualcuno immediatamente in produzione lo disorienta. Devono imparare tutto, e non parlo dell’uso dei macchinari ma del concetto stesso di luogo di lavoro, con le sue regole, le sue liturgie, le sue rigidità. Ma basta un po’ di tempo, di pazienza».

Corre Andrea Alessandrini, parla e pensa veloce. Dal suo rifugio a Montegridolfo, 980 abitanti nelle colline riminesi, dove cerca di tornare ogni giorno «per ricaricarmi di bellezza. La stessa che ho trovato in Sardegna, e che è uno dei suoi più clamorosi punti di forza». Il suo sogno: far crescere dal “deserto” un distretto industriale completamente green, «Convincere altri imprenditori a venire ad Alghero. O i migliori dei miei a fondare loro imprese». Per ora si accontenta della sua Nobento. «Quando abbiamo aperto alle famiglie dei dipendenti sono venuti in 400, con i bambini in passeggino. Quei bambini che un lavoro stabile gli aveva finalmente permesso di far nascere. Ho visto orgoglio, senso di appartenenza, spirito di gruppo. La base di ogni impresa, il primo mattone di un meraviglioso futuro».
 

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