La Nuova Sardegna

«Dalle cave abbandonate strade e aeroporti green»

Silvia Sanna
«Dalle cave abbandonate strade e aeroporti green»

Infrastrutture sostenibili, l’esperto Al-Qadi: marmo e granito, isola ricchissima

15 dicembre 2021
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SASSARI. Le strade del futuro avranno costi e impatto ambientale ridotti al minimo, le ferrovie, i porti e gli aeroporti consumeranno pochissimo il territorio e garantiranno altissimi standard di sicurezza. Un obiettivo che oggi – tra strade a pezzi e centinaia di incompiute – pare lontano anni luce, ma che invece secondo Imad Al-Qadi è a portata di mano, anzi di sguardo: basta attingere da ciò che offre il territorio in termini di risorse e di professionalità e sfruttare bene i fondi che arriveranno grazie a Pnrr e programmazione comunitaria. Docente dell’Università dell’Illinois e tra i massimi esperti internazionali di sostenibilità delle infrastrutture di trasporto, Al-Qadi ha tenuto sull’argomento una lectio magistralis all’Università di Cagliari .

Professor Al-Qadi, quali sono le principali caratteristiche di una infrastruttura di trasporto sostenibile? Che cosa deve "contenere" e come deve migliorare la vita delle persone?

«Una strada, una ferrovia un aeroporto devono consumare il meno possibile in termini di costi, materiali ed energia. Ciò deve avvenire per la loro costruzione, per il loro funzionamento e manutenzione. Infrastrutture costruite con questi principi permettono di durare più a lungo, limitando le emissioni e garantendo una maggiore sicurezza e controllo. È sotto gli occhi di tutti cosa succede nelle strade vecchie e impercorribili, ai ponti che crollano, alle ferrovie con continui lavori».

La realizzazione di infrastrutture in Italia è spesso rallentata da progetti complessi e impattanti e dagli alti costi di realizzazione. La Sardegna ha sull’infrastrutturazione un ritardo storico. Come è possibile superare gli ostacoli e ottenere la conclusione dei progetti in tempi ragionevoli?

«Occorre conoscere le tecniche più innovative ed è necessario rivedere i progetti più che datati. Basti pensare che i progetti che oggi andiamo a realizzare sono stati concepiti 20 anni or sono. Le nuove sensibilità, ambientali, paesaggistiche e sociali mal si conciliano con opere impattanti costruite sfruttando le risorse vergini quando invece si potrebbero benissimo costruire con materiali di scarto di cui la Sardegna è ricca, per via della storia estrattiva dell’isola».

Il Pnrr garantirà i fondi per portare a compimento molte opere incompiute. Ma come è possibile adeguare vecchi progetti e lavori avviati da tempo alle nuove tecnologie green e sostenibili?

«È importante stabilire un principio di flessibilità anche in fase esecutiva. Se l’appaltatore propone una nuova tecnologia green (e ce ne sono tantissime) occorre premiarlo. Se in una gara d’appalto viene proposta una nuova tecnologia sostenibile occorre incentivarne l’utilizzo».

Quali sono i materiali che consentono di risparmiare sui costi e allo stesso tempo ottenere un minore impatto ambientale?

«Faccio alcuni esempi. I costi di una strada sono enormi, da alcuni a diverse decine di milioni di euro per chilometro. Circa il 45 per cento del costo è rappresentato dal movimento dei materiale e dai materiali stessi, calcestruzzi e soprattutto gli asfalti. Quest’ultimi costituiscono il costo prevalente ma oggi sono ben note tecniche per riciclare in situ le vecchie pavimentazioni, con costi ridotti e limitati impatti dei cantieri. La tecnica del riciclaggio a freddo permette di riutilizzare i materiali senza riscaldarli e dunque risparmiando enormi quantitativi di energia e carburante».

Il concetto di opera sostenibile si lega a doppio filo a quello dell'economia circolare. Quanto può incidere in questo l'utilizzo di materiale già presente nei territori e non importato?

«Può incidere in maniera notevolissima. In Sardegna sono stimati circa 400 milioni di tonnellate ammucchiate in cumuli di sfridi di granito, marmo, rocce ornamentali, gesso, ceneri volanti e altro ancora. Materiali già cavati che necessitano solo di essere selezionati e trasportati. Eppure ancora oggi le strade vengono costruite aprendo o ampliando nuove cave».

Le cave abbandonate di cui lei parla sono “ferite aperte”, veri e propri buchi che deturpano il paesaggio. Che cosa potrebbe significare dal punto di vista economico e ambientale un utilizzo di questa risorsa per la realizzazione di infrastrutture di trasporto?

«Significherebbe attivare un sistema virtuoso come accade in molti Stati, stimolare nuove attività, recuperare interi territori».

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