La Nuova Sardegna

il progetto delle figlie della carità 

Sfruttati sessualmente o nei campi 21 gli stranieri salvati con “Elen Joy”

di Mario Girau
Sfruttati sessualmente o nei campi 21 gli stranieri salvati con “Elen Joy”

SASSARI. Saranno ricordate anche le drammatiche esperienze delle 21 persone vittime della tratta e di sfruttamento che l’anno scorso sono state accolte e “messe in sicurezza” dalle Figlie della...

07 febbraio 2022
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SASSARI. Saranno ricordate anche le drammatiche esperienze delle 21 persone vittime della tratta e di sfruttamento che l’anno scorso sono state accolte e “messe in sicurezza” dalle Figlie della Carità della Sardegna, domani (diretta streaming 19,30) in occasione dell’VIII Giornata mondiale di riflessione e preghiera contro la tratta di esseri umani.

Storie di uomini e donne tolti dalla strada o dalla più sofisticata prostituzione indoor (effetto delle misure covid), ma anche da campi, pascoli e allevamenti dove si lavora molto e si è pagati pochissimo. Tra i salvati 10 nigeriani, 2 colombiani, 3 pakistani, 2 senegalesi, altri vengono da Mali, Guinea, Bangladesh e Gambia. Rientrano nel progetto “Elen Joy” (dal nome delle prime due persone accolte). Nove donne, 11 maschi, 1 transgender; 10 vittime di sfruttamento sessuale su strada, 2 indoor, 9 sfruttati sul lavoro. «Anche nell’isola – dice suor Rina Bua, responsabile del progetto – per molti anni si è lavorato prevalentemente e giustamente per identificare, aiutare e proteggere le vittime sfruttate sessualmente. Oggi c’è un’aumentata consapevolezza anche del fenomeno di sfruttamento lavorativo, e noi ci muoviamo in questa direzione. Tra i 21 accolti quasi la metà è in questa condizione». Gli esperti di Elen Joy sono 8 educatori professionali, 2 psicologi, 2 mediatori culturali e linguistici, 1 pedagogista, un operatore legale e 3 suore.

«Lo sfruttamento lavorativo è per lo più collegato alle principali attività economiche del territorio – dice Tonia Cattari coordinatrice degli sportelli di ascolto – e in Sardegna, dove è ancora molto sommerso, interessa per il momento lavori stagionali di breve durata nella pastorizia, perciò è molto complesso raggiungere la vittima nel momento esatto in cui viene sfruttata». Rispetto ad altre forme di sfruttamento, in campo lavorativo le vittime sono soggette – dicono in casa Elen Joy – a più sottili forme di coercizione e controllo: passaporti e documenti d’identità confiscati, paghe trattenute e avvertimenti al silenzio circa le condizioni lavorative», con la paura di una denuncia alle autorità che si occupano di immigrazione o alle forze dell’ordine.

«La soglia di vulnerabilità – aggiunge Cattari – è elevata: la vittima non considera le ore di lavoro, ma il compenso attraverso cui spedire soldi alla famiglia. Le storie hanno spesso tratti comuni: il datore di lavoro non si presenta e spesso si serve di un dipendente fidato per le comunicazioni. Le condizioni di vita sono inaccettabili: abitazioni fatiscenti prive di comfort anche per i bisogni primari. Nel colloquio si percepiscono isolamento degli sfruttati, luoghi di lavoro molto distanti dai centri abitati, scarsa consapevolezza dei diritti del lavoratore e difficoltà a identificarsi come vittime. Elemento, questo, che favorisce il ricatto e la sottomissione».

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