il religioso ortodosso Nestor Veselyy
«Siamo nel terzo millennio ma sembra il Medioevo»
MARRUBIU. Come tutte le guerre, purtroppo anche quella tra Ucraina e Russia ha dei risvolti religiosi, con la politica che non si fa scrupoli nell’utilizzare la fede e un clero che si fa coinvolgere...
26 febbraio 2022
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MARRUBIU. Come tutte le guerre, purtroppo anche quella tra Ucraina e Russia ha dei risvolti religiosi, con la politica che non si fa scrupoli nell’utilizzare la fede e un clero che si fa coinvolgere nelle sue logiche. È sempre accaduto, ma sono dinamiche che non toccano il reverendo ortodosso Nestor Veselyy, tra i riferimenti del vicariato di Sardegna per il Patriarcato ecumenico di Costantinopoli, nel piccolo monastero di Marrubiu in cui vive. Ma è ucraino ed è coinvolto, eccome, nelle tragiche vicende di questi giorni: «I miei genitori vivono laggiù e li sento spesso per essere rassicurato sul fatto che vada tutto bene», ma per fortuna la zona di Leopoli non è attualmente tra quelle più calde del conflitto.
«La Chiesa non deve mai immischiarsi nelle guerre – dice – ma chiede a tutti i fedeli di pregare in un periodo tanto difficile perché il Signore illumini le menti dei politici. Tutti i conflitti sono eventi innaturali, non dovrebbero esistere». Il Patriarca Bartolomeo ha fatto un appello caduto nel vuoto: «Purtroppo possiamo fare appelli, ma dopo comandano il potere e i soldi. Noi andiamo avanti, siamo fiduciosi che il Signore in qualche modo ci aiuti e preghiamo per la pace». Sono migliaia i suoi connazionali che lavorano in Sardegna, molte sono donne che operano come badanti in aiuto delle famiglie dell’isola svolgendo in maniera eccezionale un ruolo delicatissimo e per il quale sono estremamente apprezzate. Come vivono questi momenti? «Sono tutti molto preoccupati – risponde il religioso – ma quanto accade riguarda tutti. Non possiamo chiuderci dentro le nostre casette e illuderci che noi siamo salvi e quindi sono affari loro. Non è così. Tanti quando si liberano dal lavoro vengono a recitare gli inni acastici o preghiere per la pace, per cercare di sentirci più forti nella preghiera». La fede però non può mettere a tacere le paure più profonde: «Tanti hanno lasciato parenti e amici in quella che è divenuta una zona di guerra – dice Veselyy – . Questa cosa deve finire: siamo nel terzo millennio e sembra di essere nel Medioevo...»
Le comunità ucraine in Italia si stanno muovendo per raccogliere prodotti alimentari, potrebbe essere necessario accogliere profughi se la situazione non dovesse migliorare, magari familiari di chi già lavora qui in Sardegna? «Spero che le associazioni si muovano in questo senso. Anche il Patriarca di Mosca Kirill ha lanciato un appello a fedeli, monaci e strutture. Forse però sarebbe stato opportuno muoversi prima, cercare di far ragionare la politica quando si era ancora in tempo, ma... Stendiamo un velo pietoso». Parole che rivelano le divisioni esistenti all’interno del mondo ortodosso, con Costantinopoli che nel 2018 ha riconosciuto la Chiesa autocefala di Kiev tra le proteste del patriarcato moscovita: «Divisioni non create da noi – precisa il reverendo Nestor – un dramma in famiglia che è sempre doloroso, dovuto a questioni politiche che non dovrebbero mai riguardarci». I sardi possono fare qualcosa per gli ucraini? «Tutti possono fare qualcosa, consapevoli che tutti potrebbero trovarsi a vivere la stessa tragedia». E chiude amaramente: «Non si può costruire felicità sul dolore altrui». (a.palmas)
«La Chiesa non deve mai immischiarsi nelle guerre – dice – ma chiede a tutti i fedeli di pregare in un periodo tanto difficile perché il Signore illumini le menti dei politici. Tutti i conflitti sono eventi innaturali, non dovrebbero esistere». Il Patriarca Bartolomeo ha fatto un appello caduto nel vuoto: «Purtroppo possiamo fare appelli, ma dopo comandano il potere e i soldi. Noi andiamo avanti, siamo fiduciosi che il Signore in qualche modo ci aiuti e preghiamo per la pace». Sono migliaia i suoi connazionali che lavorano in Sardegna, molte sono donne che operano come badanti in aiuto delle famiglie dell’isola svolgendo in maniera eccezionale un ruolo delicatissimo e per il quale sono estremamente apprezzate. Come vivono questi momenti? «Sono tutti molto preoccupati – risponde il religioso – ma quanto accade riguarda tutti. Non possiamo chiuderci dentro le nostre casette e illuderci che noi siamo salvi e quindi sono affari loro. Non è così. Tanti quando si liberano dal lavoro vengono a recitare gli inni acastici o preghiere per la pace, per cercare di sentirci più forti nella preghiera». La fede però non può mettere a tacere le paure più profonde: «Tanti hanno lasciato parenti e amici in quella che è divenuta una zona di guerra – dice Veselyy – . Questa cosa deve finire: siamo nel terzo millennio e sembra di essere nel Medioevo...»
Le comunità ucraine in Italia si stanno muovendo per raccogliere prodotti alimentari, potrebbe essere necessario accogliere profughi se la situazione non dovesse migliorare, magari familiari di chi già lavora qui in Sardegna? «Spero che le associazioni si muovano in questo senso. Anche il Patriarca di Mosca Kirill ha lanciato un appello a fedeli, monaci e strutture. Forse però sarebbe stato opportuno muoversi prima, cercare di far ragionare la politica quando si era ancora in tempo, ma... Stendiamo un velo pietoso». Parole che rivelano le divisioni esistenti all’interno del mondo ortodosso, con Costantinopoli che nel 2018 ha riconosciuto la Chiesa autocefala di Kiev tra le proteste del patriarcato moscovita: «Divisioni non create da noi – precisa il reverendo Nestor – un dramma in famiglia che è sempre doloroso, dovuto a questioni politiche che non dovrebbero mai riguardarci». I sardi possono fare qualcosa per gli ucraini? «Tutti possono fare qualcosa, consapevoli che tutti potrebbero trovarsi a vivere la stessa tragedia». E chiude amaramente: «Non si può costruire felicità sul dolore altrui». (a.palmas)