La Nuova Sardegna

La cucina tradizionale in franchising

di Marco Bittau
La cucina tradizionale in franchising

Dopo San Teodoro e Olbia,  Cristian Feroleto e Valentina  Giansanti lanciano il loro marchio  “Disizos sardos” in tutta l’isola

18 marzo 2022
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Il porcetto è servito, cotto a puntino e impiattato come si deve. Non è però il solito spuntino in campagna tra amici, ma il pezzo forte di un elegante ristorante nel cuore della movida estiva di San Teodoro oppure nel centro storico di Olbia. Soprattutto è il biglietto da visita del brand “Disizos sardos” – desideri sardi – che avrà anche pochi anni di attività ma che già coltiva grandi ambizioni. Una su tutte: fare della cucina tradizionale sarda un marchio di fabbrica da moltiplicare in tanti ristoranti aperti in franchising in ogni angolo dell’isola battuta dal turismo.

L’annuncio di ricerca di nuovi ristoratori interessati al marchio “Disizos sardos” è stato pubblicato la scorsa settimana su giornali e social, ma l’idea covava sotto la cenere già da tempo. La pandemia e il conseguente clima di incertezza però hanno consigliato l’attesa di tempi migliori. Eccoli. E adesso ci sono già i primi contatti da tutta la Sardegna e si valutano le proposte. «È un investimento impegnativo ma avvincente – dice Cristian Feroleto, nuorese, 37 anni, titolare dell’attività insieme alla compagna, la chef Valentina Giansanti –. Si può ragionare su due opzioni: scegliere un locale nuovo e avviarlo, oppure curare il restyling di un ristorante già esistente. In questo caso stiamo parlando di investire una cifra che si aggira intorno ai 40mila euro. Ci sono poi la formazione del personale e l’avviamento del locale, tutte cose che seguiamo con cura».

Disciplina del franchising alla mano, tutti i ristoranti con il marchio “Disizos sardos” devono avere la stessa immagine, una sorta di family brand che però da una città all’altra può presentare varianti “su misura”, secondo una visione glocal del business. Tutti i locali però devono identificarsi in tre concetti chiave: tradizione, qualità e arte culinaria. A tavola questi concetti si traducono in piatti rigorosamente tradizionali, ma rivisitati e corretti con una accurata selezione delle materie prime e dei produttori-fornitori (soprattutto piccole aziende dell’agrifood). Infine l’impiattamento, perché anche l’occhio vuole la sua parte. Così il pane frattau servito in tazza o i macarrones de punzu con crema di pecorino e guanciale croccante. Lo stesso maialino arrostito a bassa temperatura per preservare gli aromi e mantenere l’umidità. E poi le sevadas con gelato e crumble. Solo le carni non sono necessariamente sarde, in quanto nell’isola non è ancora diffusa la pratica della frollatura.

«Disizos sardos nasce nel 2007 – aggiunge Cristian Feroleto – quando dalla vendita di alimentari a chilometro zero a San Teodoro e nelle fiere in tutta Italia abbiamo realizzato che la cucina tradizionale sarda di qualità è una delle ricchezze che maggiormente conquistano i visitatori. Chi viene in vacanza in Sardegna scopre un mondo straordinario e lì nascono i disizos. A quel punto la decisione di trasformare l’attività di vendita in ristorazione. Prima un locale a San Teodoro, prettamente stagionale, e poi da due anni un ristorante anche nel centro storico di Olbia, aperto tutto l’anno». «Il “Disizos sardos” di Olbia, in via Giacomo Pala, è stata per noi una scommessa – ancora Feroleto – aperto all’inizio della pandemia e chiuso subito dopo, al primo lockdown, si rivolge a una clientela più ampia, non soltanto di turisti. La scommessa è proprio questa: convincere i sardi che i piatti della cucina tradizionale di qualità si trovano anche in ristorante e non solo a casa o in campagna tra amici».



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