La Nuova Sardegna

La manovra del Governo

Anche Confindustria sarda attacca: «Imprese a rischio e addio alle Zes»

di Giuseppe Centore
Maurizio De Pascale, presidente di Confindustria Sardegna
Maurizio De Pascale, presidente di Confindustria Sardegna

Il presidente De Pascale: "Occorre prorogare il credito d’imposta, Meloni ci ripensi"

03 dicembre 2022
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Cagliari Se il presidente nazionale di Confindustria spara a palle incatenate contro la manovra del governo Meloni, definita «senza visione», dal sud il grido d’allarme è se possibile ancora più forte. E a dimostrazione che l’allarme non è di parte arriva la condivisione sulle critiche, e sui possibili correttivi, da parte di larga parte del sindacato, che attraverso Cgil e Uil annunciano iniziative di mobilitazione.

Il buco nero degli interventi per il caro-bollette ha drenato la stragrande maggioranza delle risorse a disposizione del governo, che, rispettando un patto con l’esecutivo precedente e la commissione europea ha deciso di non fare la manovra in deficit. Ciò vuol dire che non ci saranno nuovi debiti da aggiungere a quelli già in carico allo Stato (che a settembre ammontavano a 2742 miliardi, che comportano oltre 65 miliardi di interessi per il solo 2022) e che il saldo deve essere pari. Da qui i tagli, anche dolorosi e inspiegabili.

La Confindustria vede nei tagli previsti un effetto recessivo e devastante soprattutto per l’economia del sud. «È evidente che i margini di manovra sono molto bassi, quando si mettono una trentina di miliardi, nel loro insieme sui costi dell’energia non rimane nulla. Questa manovra interviene sì sul caro energia, e ci sta, ma per il Mezzogiorno mi sarei aspettato qualcosa di più. Se uno dei nodi dello sviluppo è il divario tra nord e sud, e se è interesse di tutti ridurlo, con due interventi settoriali il governo aumenta questo divario, non lo riduce». Maurizio De Pascale, presidente di Confindustria Sardegna spera che le Camere possano migliorare il testo uscito da Chigi, ma ammette che i margini sono a dir poco stretti, e che mancano i fondi.

I due interventi definanziati riguardano la decontribuzione del 30 per cento a favore delle aziende sui contributi previdenziali, norma introdotta al tempo del covid, e che fa sì che il carico previdenziale sia leggermente attutito e soprattutto un punto che in Sardegna ha trovato terreno fertile e che dovrebbe essere semmai potenziato, visto che è alla base delle Zes, le zone economiche speciali appena attivate anche nell’isola.

«Mi riferisco al credito di imposta per gli investimenti nel sud legati al programma industria 4.0. Se non verrà prorogato oltre il 31 dicembre, l’ideale sarebbe sino al 2026 per farlo coincidere con il Pnrr, determinerà un crollo della capacità competitiva e innovativa delle imprese, e segnerà la morte prematura delle Zes».

De Pascale ricorda che questo credito aiuta le imprese virtuose che investono e allargano la platea di occupati. «In questi anni il Sud sta contribuendo in maniera importante sia in termini di pil che di occupazione, alla tenuta del paese. Eliminare di netto questa misura farà danni. La si può tenere, anche con una dotazione parziale e poi rimodularla a metà anno, ma abrogarla di netto non aiuta nessuno». De Pascale lancia un appello, definito «accorato» ai presidenti di Regione del Sud affinchè si facciano portavoce delle richieste del mondo delle imprese (peraltro in tutto condivise dai sindacati), e fa capire che dovendo scegliere tra decontribuzione e credito di imposta su investimenti, la sua categoria, non solo in Sardegna ma nel resto del Mezzogiorno preferisce la seconda misura.

«Preferirei salvare i crediti di imposta, peraltro selettivi e favorevoli più alle piccole che alle grandi imprese. Già abbiamo un problema enorme di messa a terra dei progetti del Pnrr, ci manca solo il taglio a misure intelligenti che hanno dato buoni frutti».


 

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