La Nuova Sardegna

Il caso

«Un vino sardo da 1500 euro? Non c’è storia, è solo marketing»

di Roberto Sanna
«Un vino sardo da 1500 euro? Non c’è storia, è solo marketing»

Il Vermentino di Ragnedda più caro d’Italia fa discutere gli esperti del settore Un bianco di quel prezzo può puntare su un target luxury di collezionisti

23 agosto 2023
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Sassari Un vino sardo da 1.500 euro? Si può fare, certo. Ma a rischio e pericolo di chi lo produce. Il “Disco volante” di Emanuele Ragnedda, Vermentino Igt definito “il più caro d’Italia”, fa discutere. Anche perché in Sardegna non si erano mai viste bottiglie a questi prezzi. Posto che è il produttore a deciderlo in piena autonomia, come è giusto che sia, sorgono due domande: la Sardegna è in grado di esprimere bottiglie in grado di competere con quelle più prestigiose che arrivano dall’Italia e dal resto d’Europa? E soprattutto, è una produzione sostenibile per una cantina? «Diciamo subito che mettere sul mercato un vino a questi prezzi significa automaticamente collocarsi in una certa fascia che ti porta a competere con vini di qualità eccelsa – dice Antonio Furesi, presidente regionale dell’Ais (Associazione italiana sommelier) –. E si tratta di vini che hanno caratteristiche ben determinate: un certo carattere e potenzialità di invecchiamento, per esempio. Ci sono bianchi di Borgogna che costano anche molto di più, ma hanno anche alle spalle un certo territorio e una certa tradizione che a noi ancora manca. In Sardegna quando parliamo di cantine antiche pensiamo a Contini e Sella&Mosca, fino agli anni Settanta-Ottanta quanti ettolitri di vino viaggiavano in autobotte nelle strade dell’isola per essere venduti sfusi? Le cantine hanno cominciato a sorgere e affermarsi in quel periodo, ci sono stati miglioramenti ma il nostro futuro è ancora da costruire. Un vino con quel prezzo si colloca dichiaratamente in un segmento luxury e chi va ad acquistare, per prima cosa fa un confronto con gli altri prodotti di quella fascia. Per il resto non mi sembra il caso di fare tanto i moralisti: collocarsi in quella fascia significa fare una scelta ben precisa e puntare dichiaratamente a un certo target, quello di persone che amano spendere e a volte lo fanno anche solo per il prezzo di una bottiglia».

«Un prezzo di quel genere non è strano solo in Sardegna ma anche in Italia – aggiunge Francesco Bruno Fadda, critico enogastronomico, direttore della rivista Spirito Autoctono e dell’omonima guida –. I vini che costano così sono una rarità e hanno alle spalle anche un lungo percorso, compreso l’invecchiamento, in questo caso vedo un prodotto sospinto per l’80 per cento dal marketing. Sono anche vini che hanno pochissimi estimatori e non hanno quasi mai funzionato, prodotti che si vendono soprattutto all’estero e sono ricercati principalmente dai collezionisti, magari in qualche asta. La sostenibilità economica è dura: un’azienda ha un break-even di vendita di 28mila bottiglie e vai in pareggio. Quante devi venderne a questi prezzi per non andare in perdita? E trovi così tanti acquirenti?».

«Nel mercato europeo le bottiglie arrivano a certe cifre dopo una speculazione di mercato, qualche asta internazionale – spiega Giuseppe Carrus, giornalista del Gambero Rosso –, qui si parla di un vino che costa così in uscita dalla cantina e non è solo una questione di Sardegna, sono cifre importanti in assoluto. Si tratta di una scelta imprenditoriale che ha a che fare con una mossa di marketing. Diventa un gioco per collezionisti e invece per me il vino è un’altra cosa. Certamente una cantina non può sostenersi solo con questi vini, sono produzioni molto limitate. Per vederlo prendere realmente piede sarebbe interessante vedere questo vino in un circuito di ristoranti stellati o grandi degustazioni, ma dovresti avere anche una produzione capace di soddisfare il quantitativo di bottiglie necessario a un’operazione di questo livello».

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