Si è discusso tantissimo del film Io capitano, di Matteo Garrone. Nel bene e nel male. Quando la scuola ha proposto la visione del film, tanti di noi studenti erano abbastanza certi di andare incontro a un racconto retorico. Il fatto che fosse un’attività valida per la materia Educazione Civica ha reso l’idea della visione di un film lunghissimo (ben due ore di proiezione) accettabile come deve esserlo qualsiasi attività didattica. Niente di più. Cosa mai potrebbe raccontare di nuovo a noi ragazzi che viviamo e studiamo a Cagliari, porta del Mediterraneo, l’ennesima riflessione sui flussi migratori dall’Africa, ormai ininterrotti da anni, che in città abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni? Anche la mattina della proiezione, prima di arrivare al cinema, tutti abbiamo percorso per l’ennesima volta il tragitto dalla stazione della piazza Matteotti di Cagliari, durante il quale è molto frequente, anzi matematico, incontrare decine di quei ragazzi che hanno attraversato il mare, come nel racconto del film. Ma ora il pericolo è scampato, sono arrivati sani e salvi, no? L’arrivo da noi è il lieto fine che aiuta a lasciare i brutti pensieri alla spalle, no? No. Proprio no.
Ci sono diversi ragazzi di origine africana nella mia scuola, alcuni hanno parenti e amici che hanno compiuto quello che viene detto "viaggio della speranza" e dopo la visione del film, durante il dibattito, è successo l’inevitabile: è salito agli occhi, dopo essersi sciolto in gola, quel nodo di dolore che probabilmente la serenità colorata della nostra terra fatica ancora a guarire nei loro cuori. Si è detto tanto del film, impegnativo anche perché interamente sottotitolato, recitato in francese e wolof, lingua dei due protagonisti della storia. Non è mancato neppure chi ha detto che raccontare le migrazioni sia servito al regista per ottenere degli incentivi economici. Può darsi, meglio così: è venuto fuori un capolavoro d’umanità. Il racconto è crudo e impressionante, ma è reso leggero dalla sceneggiatura di Massimo Ceccherini, che siamo abituati a vedere come spalla nei film esilaranti di Leonardo Pieraccioni. Però i tratti di leggerezza non possono essere tanti, si tratta sempre di un racconto molto realistico, a partire dal sogno un po’ ingenuo dei due protagonisti sedicenni, che immaginano di trovare in Europa il successo che emerge dai racconti social di chi ce l’ha fatta: «Firmeremo gli autografi ai bianchi», è uno dei pensieri ricorrenti, soprattutto nei momenti di difficoltà più grande.
Nonostante la spensieratezza dell’età e il desiderio di una vita migliore, i due sanno che i rischi potrebbero essere tanti, enormi ma non così invalicabili. Seydou, il protagonista principale, inizia a intuire che il premio non sarà tanto quello di raggiungere le sponde italiane, quanto quello di mantenere la propria umanità, tra la scia di morti di cui nessuno sembra occuparsi se non come liberazione da una zavorra. Per noi il premio è stato tornare a casa con il cuore più consapevole e aperto, più umano.
*Lia frequenta l’Istituto De Sanctis – Deledda di Cagliari