La Nuova Sardegna

Intervista

Il chirurgo sardo Mirko Muroni: «Col bisturi tra i feriti di Gaza»

di Andrea Sini
Il chirurgo sardo Mirko Muroni: «Col bisturi tra i feriti di Gaza»

Il medico di Iglesias ha preso parte alla missione a bordo della Vulcano: «Sono un medico militare, ne ho viste tante. Ma quanta sofferenza per quei bambini»

21 gennaio 2024
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Sassari L’unico souvenir che ha portato a casa dalla missione è il bigliettino di auguri che una piccola paziente ha disegnato personalmente per augurargli buon compleanno. Era il 5 dicembre e anche quel giorno Mirko Muroni era al lavoro in una delle sale operatorie della nave Vulcano, ormeggiata a sud della Striscia di Gaza.

In missione con vista sull’inferno, con l’obiettivo di dare soccorso ai feriti palestinesi provenienti dalle zone sottoposte ormai da oltre cento giorni a massicci bombardamenti da parte dell’esercito israeliano. Il chirurgo di Iglesias, ufficiale medico della Marina in forza al Policlinico militare del Celio, ha preso parte per due mesi alla delicata missione a bordo della Vulcano, prima dell’avvicendamento del 29 dicembre. La base della missione è il porto di Al-Arish, una città dell’Egitto che si trova a circa 45 chilometri dal valico di Rafah, al confine meridionale della Striscia di Gaza. Sullo stesso molo c’è ormeggiata anche una nave-ospedale francese, la Dixmude».

L’ospedale galleggiante La nave Vulcano, gioiello della Marina militare varato due anni fa, è un vero e proprio ospedale galleggiante. «Al suo interno – spiega il dottor Muroni, 48 anni, alla sua sesta missione di questo tipo – si trovano due sale operatorie, una tac di ultima generazione, un laboratorio analisi, una terapia intensiva con 8 posti, ulteriori 10 posti letto, una sala per il trattamento degli ustionati e una sala per l’isolamento dei pazienti infettivi. A bordo opera un’equipe interforze: specialisti della Marina, dell’Esercito e dell’Aeronautica, con 50 sanitari, 14 tra medici e infermieri e tecnici. I chirurghi generali sono due, ma ci sono anche quattro anestesisti, due ortopedici, un medico internista e un radiologo. Inoltre, dal Qatar sono arrivati anche due pediatri e un ginecologo».

La missione Sulla banchina del porto di Al-Arish, il personale medico militare della Vulcano riceve quotidianamente i pazienti provenienti direttamente dalla Striscia oppure dal vicino ospedale, trasportati a bordo di ambulanze da autorità sanitarie egiziane. «La nostra missione – sottolinea il medico originario di Iglesias – consiste nella stabilizzazione dei pazienti per consentirne poi il trasferimento in altri ospedali. Dopo i nostri interventi, la maggior parte di loro sono partiti in aereo per il Qatar o l’Arabia Saudita».

Piccole vittime «Sin dal nostro arrivo ci siamo resi conto che la situazione è davvero drammatica e che questa guerra sta coinvolgendo in maniera particolare la parte più debole della popolazione. I pazienti sui quali siamo intervenuti erano quasi tutti bambini, con traumi da esplosione, fratture e rimozione di schegge. In alcuni casi erano stati già trattati a Gaza, ma all’interno della Striscia, con gli ospedali distrutti o danneggiati, hanno progressivamente iniziato a scarseggiare il materiale medico e i farmaci. E poi molti pazienti presentavano ustioni, e siamo dunque intervenuti con medicazioni e cure specifiche».

Oltre ai bambini, a bordo della nave Vulcano hanno trovato assistenza anche tanti pazienti oncologici che non potevano continuare chemioterapie o essere operati, dopo i bombardamenti sugli ospedali. «In questo abbiamo – spiega Muroni – avuto la collaborazione dei medici del Qatar, che hanno lavorato a bordo con noi, prima del trasferimento dei pazienti per poter proseguire le cure oncologiche. Durante la mia permanenza abbiamo operato più di 50 pazienti».

La paura e la speranza I piccoli pazienti di solito sono accompagnati da un adulto: un genitore, o un parente. «Quando arrivano sono molto impauriti e diffidenti, oltre che sofferenti, ovviamente. Tutti noi abbiamo notato che all’inizio non sorridono mai. Poi però dopo 2-3 giorni inizia a comparire qualche sorriso e questa è una cosa bellissima. Significa che si sono tranquillizzati e si fidano. Sono tutti malnutriti e gli esami del sangue evidenziano valori anemici, con ferro ed emoglobina bassi. Con l’alimentazione normale in poco tempo i valori si ristabiliscono, infatti sulla Vulcano si consente loro di trascorrere qualche ora sul ponte di volo, per godere di qualche ora all’aria aperta».

Persino in mezzo a tanta sofferenza, possono arrivare messaggi di speranza. «Con i bambini si sono instaurati rapporti bellissimi – racconta ancora Mirko Muroni –. Da parte nostra c’è la soddisfazione di poter dare una prospettiva a persone in difficoltà. Nei loro disegni c’è il sole ma ci sono anche gli aerei le bombe che cadono dal cielo. In uno dei primi giorni della missione ho festeggiato il mio compleanno e per l’occasione una piccola paziente mi ha regalato un disegno che lei stessa ha fatto, e che ho portato con me in Italia. Con me ho portato anche l’emozione del lieto evento che abbiamo avuto sulla Vulcano: la mamma di una piccola paziente aveva superato le 40 settimane e ha iniziato il travaglio a bordo. Questa donna ha deciso di chiamare la nuova nata Ilin Italia, in omaggio alla nostra missione. Abbiamo interpretato tutto questo come un segnale di speranza – conclude il chirurgo di Iglesias –, un raggio di luce in mezzo a tanti eventi drammatici».


 

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