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Franco Dente: «Fare cestini mi aiuta a meditare. Vorrei insegnarlo ai giovani»

di Serena Lullia
Franco Dente: «Fare cestini mi aiuta a meditare. Vorrei insegnarlo ai giovani»

A Berchidda ha imparato a intrecciare dall’anziano padre. Dopo 41 anni in Germania è tornato nel suo paese e tiene viva la tradizione

02 marzo 2024
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Inviata a Berchidda Le mani esperte si muovono con grazia mentre tessono fili di salice, olivastro, canna. La campagna di Berchidda è la silenziosa quinta naturale che Franco Dente sceglie per creare i suoi cestini. Tradizionali ma con un tocco personale sul manico. Il cinguettio degli uccelli, interrotto solo dall’abbaiare di qualche cane, è la melodia che accompagna il lento movimento dell’intreccio.

Custode di un ritmo antico imparato dal padre, contadino e poeta, Franco mentre intreccia geometrie libera i pensieri negativi nell’aria. Una terapia dell’anima. A 64 anni, dopo 41 da emigrato in Germania, torna nella sua Berchidda e complice il lockdown da Covid, comincia a fare cestini con il padre, allora quasi centenario.

I primi lavori sono imperfetti ma intrisi di passione. Li pubblica sul suo profilo Facebook per testare il gradimento dei compaesani. Arrivano i primi like, i complimenti, le richieste di acquisto, gli inviti a proseguire quella attività in estinzione. Franco perfeziona la sua arte, ogni cestino diventa un racconto di emozioni che sanno di Sardegna, di storia, di cose semplici. Ora cerca qualche giovane a cui insegnare questa arte antica. «Non dico che possa essere un vero lavoro, di certo è un hobby piacevole, una tradizione da tenere viva e perché no, con dei bei lavori, qualche soldino si può anche fare».

Franco lascia Berchidda a 24 anni. «Era il 6 gennaio 1981, lo ricordo bene – racconta –. Subito dopo la terza media mi ero messo a lavorare come falegname. Mi piaceva, ma non avevo la possibilità di mettermi in proprio. Allora servivano 50milioni di lire. Non volevo restare dipendente a vita. In Germania c’erano alcuni miei cugini, tramite loro partii e trovai subito lavoro».

Per 12 anni Franco lavora in una fabbrica della zona della Rhur in cui si producevano turbine per centrali nucleari. «Arrivai senza conoscere il tedesco e all’inizio fu difficile. A farmi sentire a casa ci pensava però la bella comunità sarda e il circolo dei sardi. Avevamo anche una squadra di calcio».

Il legame con il paese resta sempre forte. Franco torna a trovare i genitori ogni anno. Nel 1993 lascia la fabbrica e compra una gelateria, «un’attività che in Germania funziona benissimo, ancora di più con una gestione italiana – spiega –. L’ho tenuta fino al 2002. Negli ultimi 20 anni ho fatto il rappresentante di prodotti per gelati. Un lavoro che mi permetteva di tornare al paese anche due volte all’anno. Negli ultimi cinque lavoravo a casa, da Berchidda, da ottobre fino a febbraio».

Il periodo del Covid Franco lo trascorre nel paese gallurese, insieme al padre quasi centenario. «Il lockdown natalizio del 2021 ci imponeva di non uscire per quattro giorni. Quindi dissi a mio padre: cosa facciamo chiusi a casa per tutto questo tempo? Vado in campagna a prendere un po’ di vimini e mi insegni a fare cestini».

La campagna della famiglia Dente è a un chilometro dal paese. «È allora che ho cominciato a intrecciare, con papà. Lui non aveva più tanta forza nelle dita e faceva cestini piccolini. Ma mi ha insegnato come fare il fondo fino ad arrivare al manico» racconta. Una tradizione di famiglia: il nonno materno di Franco e lo zio, erano gli unici artigiani di cestini a Berchidda. «Papà era contadino, aveva cominciato a intrecciare quando era andato in pensione, come passatempo, senza che qualcuno glielo avesse mai insegnato. Anche io ho cominciato così, un po’ guardando lui, un po’ andando a tentativi». Il primo esperimento di cestino fallisce. Franco riprova con un secondo. «Il terzo era venuto abbastanza bene così decisi di pubblicare la foto sul mio profilo Fb. Incredibilmente ricevetti tanti consensi. Da allora è diventato un hobby, una passione che mi aiuta a meditare».

Franco Dente intreccia secondo l’antica tradizione. Utilizza olivastro, salice a volte sbucciato, canna mediterranea, midollino. «A volte uso anche il mirto che dona ai cestini un profumo che dura negli anni. Col tempo ho cercato di migliorarmi e dare una mia impronta personale. Il manico, che per tradizione viene fatto a treccia, io lo faccio a due fili. Lo considero un po’ la mia firma». Un lavoro che richiede pazienza e la giusta dose di forza. Quattro ore il tempo medio per realizzare un cestino. Nessuna bozza su carta. La mente disegna i contorni dell’oggetto che deve creare. Le mani e le dita diventano la naturale continuità del pensiero. «Devo solo sapere se il cestino dovrà essere grande o piccolo, ovale o tondo. Non mi serve nient’altro. Dal materiale che resta faccio portapane e portafrutta».

Creazioni bio 100% e a chilometro zero. «Il materiale lo trovo nella mia campagna – conclude Franco, sui social come Franco cestini artigianali –. Il salice lo prendo al fiume. Per non fare danni alla natura bisogna sapere quando va colto, da ottobre a febbraio. L’olivastro invece anche tutto l’anno. Non ho mirto nel mio terreno, quando mi occorre chiedo il permesso di entrare in qualche campagna. Con la canna bisogna fare grande attenzione. Sa essere tagliente come un rasoio. Piano piano intreccio, serve forza ma anche delicatezza. E nel frattempo i pensieri cattivi volano via e dentro mi resta solo una grande pace».

 

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