La Nuova Sardegna

Una città e le sue storie
Una città e le sue storie – Sassari

Il mistero millenario di Monte d’Accoddi

di Paolo Ardovino
Il mistero millenario di Monte d’Accoddi

Il complesso della Nurra unico nel suo genere in Europa «Associato alle Ziqqurat, in realtà vicino al Megalitismo»

01 aprile 2024
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Lo dicono le proporzioni, l’alone di mistero che lo avvolge da sempre e l’espressione di un’archeologa che, pur mantenendo il suo rigore scientifico, si emoziona («ne sono innamorata»). Menì Lissia definisce l’area di Monte d’Accoddi: « Uno degli attrattori culturali più potenti che abbiamo». Parte pensando alla rete Thàmus ma si allarga su scala regionale, posizionando l’altare prenuragico al fianco di siti molto popolari tra le guide turistiche come l’area di Tharros, il nuraghe di Santu Antine o il villaggio nuragico di Barumini. Tra i luoghi della rete comunale, l’altare è la superstar, il sito che si prende decisamente la scena e che incide in maniera incredibile sulle visite. Basti pensare che nei 20mila ingressi registrati da Thàmus nel 2023, circa 14mila 900 sono da riferirsi solamente ai biglietti staccati per l’area nel territorio della Nurra. Arrivarci non è difficile, lungo la strada da Sassari a Porto Torres, poco dopo Li Punti e Ottava. Il sito però riesce ancora, «e spero le cose non cambino», a sembrare isolato da tutto. Una volta raggiunto, in mezzo alla vegetazione verde, si sente il silenzio «tipico della natura, e cioè fatto solo dei rumori di uccelli e insetti».

Cambio direzione Monte d’Accoddi deve gran parte del suo fascino all’accostamento con la Mesopotamia. Una struttura come l’altare è unica nel suo genere, diversa da tutto ciò che sia stato trovato nel resto d’Europa e nel Mediterraneo. Lo sguardo archeologico, finora, è sempre stato orientato verso la Mesopotamia e le sue Ziqqurat. Una caratterizzazione, suggerisce Lissia, che ora però va messa in crisi. «Monte d’Accoddi è unico ma scaturisce molto interesse anche perché ha comportato – spiega – e continua a comportare, grande dibattito». Ancora oggi il sito è motivo di studio da parte della comunità scientifica. «Per anni l’origine è stata reputata orientale, ma ora l’interesse si inverte verso la zona nord occidentale del continente». E quindi, più che ai saperi dei popoli della mezzaluna fertile, alla corrente del Megalitismo. Con rigore da archeologa, si diceva, Menì Lissia cita alcuni recenti «studi della Uniss in rivisitazione dei giornali di scavo di Ercole Contu» e un riesame «dei materiali ritrovati e conservati nel museo Sanna e nei suoi magazzini». L’analogia tra altare di Monte d’Accoddi e le Ziqqurat sumeriche crollerebbe, secondo Lissia, «guardando la datazione del primo altare. Che è decisamente più antico rispetto alle costruzioni delle Ziqqurat. Il primo altare venne costruito nel neolitico attorno al 3500 a.C., il secondo intorno al 2800 a.C.». Il nuovo scenario tratteggiato vedrebbe invece Monte d’Accoddi all’interno di tutte le altre costruzioni nella zona e nell’isola che hanno a che fare con rocce megalitiche. Dolmen, menhir, domus de janas. L’altare, più che collegato con un ponte oltre il bacino del Mare Nostrum, sarebbe il risultato «del forte interesse che la zona della Nurra rappresentava per le popolazioni del tempo». Secondo Lissia, tra misteri ed elucubrazioni sul sito, l’unica domanda da porsi è “Perché qui?”. Prova a rispondersi: «Una zona vicino al mare, pianeggiante, ricca di risorse, basti pensare che troviamo ancora muretti grossi di ossidiana, rappresentava un tesoro. Stanziarsi qui era un vantaggio sotto molti aspetti».

Culto e culti Diversi anni fa una troupe statunitense girò senza autorizzazioni alcune immagini e in post-produzione immaginò un alieno sulla sommità dell’altare. «Purtroppo la notorietà di questa area è anche per via di un interesse deviante». Quello della «fantarcheologia». In corrispondenza di servizi televisivi o articoli che fanno il giro sul web, si moltiplica il numero di visitatori. Ma meno attenti alla storia e più a percorsi mossi dalla fantasia. La componente spirituale però c’è ed è forte. «Parliamo di un luogo alto», che fa convergere la terra con il cielo. Un altare degli antichi per guardare le stelle e molto probabilmente oltre le stelle, per farsi guidare da una spiritualità già insita.

Com’è fatto Stando alle nozioni condivise dagli archeologi per i canali comunali di comunicazioni, l’area di Monte d’Accoddi ha alle spalle cinque millenni, dall’insediamento della Cultura di San Ciriaco. Numerose necropoli sembrerebbero testimoniare un vivo interesse delle popolazioni del neolitico verso questo territorio. Nella prima metà del IV millennio (4000-3500 a.C.) l’insediamento nel sito è documentato da resti di capanne e da un’area megalitica costituita da due tavole sacrificali e un menhir. A questa epoca si riferisce la costruzione di un primo monumento (diventato poi il “tempio rosso”). Questa prima struttura è formata da una piattaforma quadrangolare e una rampa. Sulla sommità, è stata scoperta una capanna della quale si conservano parte dei muri dipinti di rosso. All’inizio dell’Eneolitico (3500-2900 a.C.) è stato invece costruito un tempio di maggiori dimensioni, che ingloba il precedente.

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