La Nuova Sardegna

Allarme

Emergenza siccità, la Baronia come il Texas: asciutti anche i pozzi

di Alessandro Mele

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Marcello Mulargia nella sua azienda, l'area di Siniscola è la più colpita dalla siccità nell'isola (foto di Massimo Locci)

Una giornata a Siniscola con un allevatore disperato: «Non c’è acqua né erba per il bestiame, così non si va avanti»

22 maggio 2024
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Inviato a Siniscola « Est una cundanna, è una condanna». In certi casi, la lingua sarda può conferire più fermezza nell’affermare un concetto, una crisi, un disagio. È il caso della calamità naturale che sta colpendo le zone della Baronia, ovvero le terre dei pastori della costa orientale. «Nell’ultimo anno ha piovuto solo per quattro ore», dice Marcello Mulargia, 48 anni di Siniscola, che nella sua azienda sulle colline di Capo Comino versa lacrime amare. Raccoglierebbe anche quelle, se potesse, per abbeverare i 650 capi di bestiame che consentono alla sua famiglia di mangiare.

Il viaggio Se non stessimo parlando di siccità, la visione sarebbe anche poetica, quasi da quadro a olio di Vincent van Gogh. Da una parte, le colline ingiallite e la terra arsa, arancione. Dall’altra, il blu profondo del mare. Ma questo non è un manifesto del neoimpressionismo, è l’immagine beffarda della natura che regala la visione dell’acqua a chi non ne ha per i suoi animali o per le colture. Un vero e proprio miraggio, in una zona della Sardegna incastonata tra il cuore e la costa, che sta vivendo una crisi senza fine. I pastori, abituati a fare i conti col calendario rigoroso della terra, ormai confondono i mesi dell’anno: «Siamo a maggio, ma sembra agosto»; e hanno ragione, il termometro segna più di 30 gradi. Capo Comino e la Baronia adesso ricordano le piane aride del Texas, i chilometri rugosi del Sahara.

La giornata La piaga senza fine della siccità ha cambiato la vita dei pastori che adesso sull’acqua costruiscono la loro intera giornata, quasi mettendo i loro capi di bestiame in secondo piano. «Mi alzo alle 4 del mattino – racconta Marcello Mulargia, il pastore siniscolese – e alle 7.30 sto già ragionando su come reperire l’acqua che serve alle mie pecore. Perché non è vero che a noi non importa, chi alleva è il primo che vuole bene al suo bestiame». Quello che Mulargia percorre quotidianamente, è un ideale calvario, un pellegrinaggio della sete: «Sei chilometri con l’autobotte dal bocchettone dell’acqua pubblica del Consorzio di bonifica, fino alle mie campagne. Lo faccio talmente da tanto tempo ormai, che quell’acqua adesso mi sembra di caricarmela sulla schiena». E prosegue: «Questo naturalmente provoca dei danni collaterali. Ho rovinato la mia autobotte a furia di fare carichi d’acqua. Costa oltre 6mila euro, ma non mi posso fermare, sto viaggiando a capienza dimezzata». Nella strada che conduce sulle campagne di Capo Comino, sembra già di essere catapultati in un’altra dimensione. Per decine di chilometri non c’è un filo d’erba, non una macchia verde, non un segnale di speranza o di ripresa. «Ormai le pecore si nutrono esclusivamente di mangime e di foraggio – spiega il pastore –. Dovrebbe essere dato solo in aggiunta all’alimentazione che regala madre natura, invece è diventato il piatto forte del bestiame. Per noi, un costo esorbitante di oltre 50 euro al quintale. Più i costi di mezzi e carburante, perché lo acquistiamo nelle aree del Campidano».

Le spese si sono davvero triplicate, i pascoli sono sempre più magri e le tasche sempre più vuote: «Sto spendendo più di 5mila euro al mese sul mangime, prima arrivavamo massimo a 2mila». E c’è anche una questione di salute dei capi: «Il foraggio può avvelenare l’animale – spiega Marcello Mulargia –. Se non è dato nelle giuste maniere, può creare gravi problemi nel metabolismo e anche squilibri sul piano mentale. In aggiunta, con il foraggio, c’è un ulteriore spreco di acqua. Ogni pecora necessita di oltre 8 litri al giorno, è come che un essere umano, ogni giorno, anzi che mangiare insalata, mangi pane carasau e salsiccia». E in questo viaggio nella disperazione, tra la polvere, c’è spazio anche per i pozzi, vuoti rinsecchiti. «Il più vecchio ha 70 anni e abbiamo scavato con tutte le nostre forze per trovare acqua, ma non c’è neanche una goccia. Mio padre ha 85 anni – racconta il pastore – e questi pozzi non li ha mai visti così. Prima si riempivano da soli, con l’acqua del fiume, adesso non se ne vede per chilometri. I pozzi, anche quello domestico, o quello che fornisce l’acqua per le mungitrici, sono completamente prosciugati».

Il dramma La via crucis di questo allevatore è il dramma di un intero territorio. La Baronia, zona di guerra nell’emergenza siccità, rischia di perdere una fonte di reddito tra le più importanti e una tradizione che rischia di scomparire all’improvviso. «Molti allevatori, nell’ultimo anno, hanno già venduto i loro capi di bestiame – conferma Mulargia –. Le spese da affrontare sono diventate insostenibili e c’è chi, a causa della mancanza d’acqua, sta scegliendo di dedicarsi ad altri settori». E in effetti le campagne qui sono deserti, non solo d’acqua, ma soprattutto di capi di bestiame e di persone. È così per chilometri. In Baronia ormai gli animali si abbeverano dalle pozze di pantano che lasciano gli sparuti acquazzoni estivi, quando piove per nemmeno 5 minuti. Un’immagine di tristezza assoluta e di degrado naturale che preoccupa e che sconforta. «Se finisce il latte agli animali, finiscono anche i soldi e la famiglia deve pur mangiare – conclude Marcello Mulargia –. Che futuro avranno i nostri figli qui in campagna»?

Domande che oggi come oggi madre natura lascia senza risposte.

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