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Sanità

Allarme infermieri, in Sardegna ne mancano 1500

di Luigi Soriga
Allarme infermieri, in Sardegna ne mancano 1500

Oggi è la giornata internazionale della categria, ma in corsia è il caos: «Letti pieni e stress»

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Sassari Oggi sarà la Giornata internazionale dell’Infermiere. Ma negli ospedali non si festeggia. Si resiste. C’è un letto in più. Un’altra flebo che si aggiunge. Un collega che non è stato sostituito. Un altro che ha mollato. Ogni giorno, da anni. Non serve la torta. I tanti auguri magari sì. Soprattutto serve gente. Servono risorse. Serve rispetto. Invece restano soli. In corsia. Tra pazienti che aspettano e turni che si allungano. Oggi sarà la loro giornata. Ma per molti sarà solo un’altra notte.

«La Giornata Internazionale dell’Infermiere è un giorno che molti vivranno con amarezza. Troppi si sentono abbandonati: carichi di lavoro insostenibili, stipendi inadeguati, nessuna prospettiva di crescita professionale e di carriera. Servono rispetto, valorizzazione e ascolto. Non celebrazioni di facciata, ma risposte concrete».

A parlare è Gianmario Sardu, rappresentante sindacale della Cisl FP di Sassari. Le sue parole sintetizzano il malessere profondo che attraversa una categoria fondamentale del sistema sanitario, sempre più sotto pressione.

Ogni giorno, all’Aou di Sassari, i reparti affrontano una certezza drammatica: ci sono più pazienti che letti disponibili. È la norma, non l’eccezione. E gli altri ospedali della Sardegna non se la passano meglio. Un centinaio di ricoverati in più rispetto ai posti letto accreditati dalla Regione, come se esistessero quattro o cinque reparti fantasma: i pazienti ci sono, il personale no.

Carenza cronica In Sardegna mancano almeno 1.500 infermieri per raggiungere gli standard nazionali, già tra i più bassi d’Europa. Secondo l’Istat, nel 2022 nell’Isola erano presenti 6,2 infermieri (inclusi ostetrici) ogni 1.000 abitanti, contro una media nazionale di 6,8. Ma se si guarda ai soli infermieri dipendenti, il dato scende a 5,25 ogni 1.000 abitanti, appena sopra la media nazionale (5,13), e la Sardegna scivola al 13º posto in Italia, dietro regioni come Veneto e Marche. La prospettiva è allarmante: entro il 2030 mancheranno almeno altri 1.400 infermieri. E intanto le aule universitarie si svuotano: pochi iscritti, molti abbandoni, ancora meno laureati.

Le criticità Gian Mario Sardu non parla solo da semplice rappresentante sindacale, ma da infermiere che ogni giorno vive il reparto. Oltre undici anni di esperienza nei reparti di Geriatria e Malattie Infettive. Racconta una realtà fatta di sacrifici silenziosi, demansionamenti continui, e carichi che mettono a rischio la sicurezza delle cure. «Ci sono due fattori principali che rendono questa professione sempre meno attrattiva: da un lato i carichi di lavoro intensi e una turnazione h24, compresi i notturni; dall’altro stipendi che, anche con le indennità, non sono affatto gratificanti. Un neoassunto prende tra i 1.600 e i 1.750 euro al mese. Con il costo della vita attuale, è davvero poco».

Demansionamento «Il numero di infermieri in servizio è spesso insufficiente. Le mansioni sono tantissime, e molte di queste non dovrebbero ricadere su di noi. Quando mancano gli Oss, siamo costretti a occuparci anche di igiene, a pulire e cambiare gli allettati, dei pasti, a imboccare chi non è autosufficiente, di logistica. A volte addirittura della disinfezione degli ambienti. Non è questo il ruolo per cui ci siamo laureati. Le possibilità di carriera? Quasi nulle. Tanti colleghi investono tempo e denaro in master specifici – dalla gestione delle lesioni da decubito a quella degli accessi venosi – ma poi queste competenze non vengono riconosciute. È frustrante». Il contratto prevede 36 ore settimanali, ma tra reperibilità e turni straordinari si sfora facilmente. «In alcuni reparti si lavora anche in condizioni di insicurezza: da soli, di notte, con pazienti complessi. E spesso si diventa bersaglio di aggressioni verbali, a volte anche fisiche. L’infermiere fa da filtro con i parenti dei malati, cioè i più nervosi: è inevitabile giocare il ruolo di parafulmine».

Overbooking I rapporti infermiere-pazienti dovrebbero essere chiari: 1 a 3 in rianimazione, 1 a 6 in subintensiva, 1 a 10 o 12 nei reparti a bassa intensità. Sono numeri stabiliti dal Ministero e dalla Genas, l’ente nazionale che si occupa di rischio clinico, sulla base della complessità di gestione. «Nella realtà questi standard sono lontani: si lavora in emergenza perenne. Chi deve assegnare le risorse ai reparti è costretto a usare il bilancino. Perché la coperta è corta, il personale sottodimensionato. È un ruolo delicato perché ogni scelta aumenta da una parte e toglie dall’altra. Se il budget fosse più alto e la logica del contenimento della spesa non prevalesse, allora gli standard di assistenza sarebbero decisamente più elevati». Il sovraffollamento nei reparti è cronico. Gli infermieri stringono i denti. Il rischio clinico cresce, la motivazione cala. Ma c’è chi non si arrende. «Restiamo per scelta, per coscienza, per senso del dovere. Anche per passione», conclude Sardu. Un appello in questa Giornata internazionale dell’infermiere. Un giorno di festa, dentro un anno di trincea.

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