I talenti sardi che restano: «Servono progetti, non idee»
Federico Esu racconta le testimonianze di chi non fugge per cercare lavoro altrove
Sassari Non c’è solo una Sardegna che vede partire i suoi talenti ma un’isola in cui chi decide di rimanere o di ritornare nella propria terra costruisce reti e crea opportunità condivise di sviluppo. Un esempio è rappresentato da Federico Esu. Dopo anni all’estero ha deciso di ritornare ma non si è limitato a quello. Ha fondato “Itaca”, un podcast che raccoglie storie di chi resta, torna, arriva, o parte dalla Sardegna, e “Nodi”, un movimento culturale e un progetto di comunità che connette queste persone tra loro, dando vita a una rete viva, concreta, che supera le etichette e ricompone una nuova geografia umana dell’isola.
«Le connessioni che abbiamo creato e che continuiamo a coltivare stanno dimostrando che esiste un capitale umano attivo, intraprendente e pieno di visione, che sceglie di vivere in Sardegna non per nostalgia, ma per convinzione. Perché crede che proprio qui, nella nostra isola, si possano fare le cose. E si possano fare bene. Mettere in rete tutte queste persone significa creare un ecosistema di fiducia e collaborazione. Un contesto in cui chi arriva trova accoglienza, chi torna – come è stato anche il mio caso – trova alleati, e chi resta non si sente più l’unico rimasto. Così la Sardegna può tornare ad essere fertile: non solo bella, ma viva di idee, relazioni, progetti, possibilità. Solo così può tornare ad attrarre persone, energie e anche nuove nascite».
Questa rete si propone come una risposta concreta alla crisi demografica: non basta attirare nuovi residenti con incentivi o slogan. Serve costruire relazioni, occasioni di incontro, condizioni abitative e lavorative degne. Serve far sentire le persone parte di qualcosa.
«Stiamo vedendo nascere progetti proprio dagli incontri, dal programma di mentoring, dagli eventi che organizziamo in tutta la Sardegna ma anche online. E si stanno creando le precondizioni per collaborare in modo sistemico, tra territori, discipline e generazioni. In un contesto insulare come quello sardo, dove l’isolamento è spesso duplice – fisico e simbolico – il “fare rete” è una forma di riattivazione culturale, economica ed emotiva. È come smuovere il terreno per far emergere tutto ciò».
I risultati raggiunti fino ad oggi sono tangibili e in progressiva crescita. Dalle tante interviste del podcast “Itaca” sono nate nuove storie di ritorno o arrivo. Dalle connessioni di “Nodi” sono emersi progetti imprenditoriali, iniziative condivise, scambi tra professionisti e realtà locali. Il programma di mentoring sta facilitando transizioni, integrazioni, nuovi inizi. Tutto questo in modo organico ma con metodo, cura, ascolto e visione.
«La nostra forza è nelle persone, e nella capacità di metterle nella giusta connessione», aggiunge Federico Esu.
Avete già instaurato un rapporto e una collaborazione con le istituzioni regionali?
«Più che fare richieste, ci interessa costruire un dialogo continuo e costruttivo, tra pari, tra professionisti, amministratori, realtà del terzo settore e stakeholder privati. È un processo che stiamo già vivendo: sempre più spesso con “Nodi” ci troviamo a collaborare con attori pubblici e privati, come è accaduto pochi giorni fa a Laconi, durante un incontro internazionale tra spazi creativi europei, dove erano presenti anche CRENoS, l’Assessorato all’Industria e la Presidenza della Regione Sardegna. Questi momenti dimostrano che c’è un terreno fertile per collaborazioni trasversali e che, lavorando insieme, possiamo individuare modalità più agili e accessibili per sostenere chi vuole restare, tornare o arrivare in Sardegna. Facilitare l’avvio di nuove attività, ridurre le complessità burocratiche e mettere in campo strumenti più flessibili può contribuire in modo concreto a rendere l’isola più attrattiva per nuove energie, competenze e progettualità. Non si tratta di puntare il dito contro nessuno, ma di riconoscere che solo con una visione condivisa e relazionale possiamo affrontare sfide complesse come quella demografica e sociale».
Alla domanda sulla visione demografica per i prossimi 10-15 anni, Esu risponde con chiarezza: «Immagino una Sardegna che non si definisca più per ciò che perde, ma per ciò che decide di generare. Non mi piace la parola 'trattenere': dà un’idea di costrizione. Meglio pensare a un’isola che attira, perché offre qualità della vita, relazioni, spazi rigenerati, opportunità di contribuire. Una Sardegna che riabita i paesi in modo intelligente, con servizi, infrastrutture digitali, spazi di comunità, che riconosce i “nuovi sardi” – anche se nati altrove – come parte attiva del tessuto sociale. Che sostiene l’autoimprenditorialità diffusa, e valorizza i tanti sardi nel mondo come alleati dello sviluppo locale, non solo come nostalgici da evocare a fasi alterne».
Con i progetti di “Itaca” e di “Nodi” Federico Esu vuole quindi cercare di disegnare un’altra mappa della Sardegna, fatta non solo di luoghi, ma di legami. Una visione complessiva nella quale la demografia non è solo una curva da invertire, ma un invito a immaginare nuove rotte e nuovi approdi per chi rimane, per chi ritorna e per chi decide di arrivare nell’isola. (ma. se)