La Nuova Sardegna

Fango digitale

I ristoratori: «Contro i commenti web fasulli l’arma che usiamo è il passaparola»

di Francesco Zizi
I ristoratori: «Contro i commenti web fasulli l’arma che usiamo è il passaparola»

Vito Senes: «Qualcuno lo abbiamo beccato e obbligato a cancellare». Luca Quiliquini: «C’è chi compra le recensioni per affossare i competitor»

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Sassari Nell’era del digitale, le recensioni sono diventate un elemento significativo per il successo, o la disfatta di un ristorante. Piattaforme come TripAdvisor, Google e social network vari influenzano profondamente la scelta dei clienti, diventando spesso la prima fonte di informazioni. Tuttavia, con questo potere crescente si accompagna un rischio: quello delle recensioni false, non veritiere, che possono danneggiare ingiustamente l’immagine di un’attività e creare una realtà distorta del mercato. Nonostante le autorità preposta abbiano intensificato i controlli la situazione rimane complessa e la lotta alle recensioni fasulle è tutt’altro che conclusa. Un punto di vista diretto arriva da Vito Senes, titolare dello storico ristorante Da Vito a Sennori: «Le recensioni fanno sempre piacere, ma anche noi ci siamo scontrati con la realtà dei giudizi fasulli online. Molto spesso sono anche fatte dai concorrenti, e sappiamo chi sono in base a cosa scrivono». Nonostante questo Senes non ha una visione allarmistica sulla questione. «Il 90% dei commenti belli o brutti che siano servono a farci lavorare meglio e ci spingono a migliorare. È capitato – continua il ristoratore – di beccarli in pieno e fargli cancellare la recensione».

L’esperienza pluridecennale di Senes riflette una realtà più ampia: nel settore della ristorazione, soprattutto in territori turistici come la Sardegna, la reputazione digitale è una risorsa fondamentale ma va gestita con attenzione, proprio per questo il passaparola rimane l’arma migliore: «Le recensioni più belle sono quelle fatte dai clienti porta a porta. Il passaparola è quello che ci fa lavorare. Arrivano tanti turisti che hanno sentito parlare di noi nell’ombrellone a fianco in spiaggia» conclude Senes. Parole che confermano come, al di là delle tecnologie, il giudizio diretto e spontaneo di chi ha vissuto l’esperienza resta insostituibile. Stessa visione arriva dalla Braceria Gallura di Sassari: «Il fenomeno è noto da anni, molte persone non conoscono le dinamiche della gestione di un locale eppure si sentono in dovere di lasciare una recensione che potrebbe impattare ingiustamente sulla reputazione di un locale».

Luca Quilichini del Mamabeach di Olbia ha invece una visione chiara e ben più radicale dei suoi colleghi: «Ho sempre pensato che il fatto di poter lasciare delle recensioni sia ridicolo, è l’unico lavoro dove anche chi non è esperto può esprimersi e compromettere la reputazione di una lavoratore. Non esistono piattaforme dove si può recensire un avvocato o un medico». Per il ristoratore inoltre c’è il problema delle recensioni comprate per affossare i competitor o per aumentare la propria reputazione: «È una problematica esistente, anche se c’è da dire che ormai le persone non guardano più la valutazione in sé di un ristorante ma piuttosto il numero complessivo delle recensioni». Quilichini propone poi una ulteriore stretta sulle piattaforme: «Le misure prese dal governo non hanno dato alcun risultato, basterebbe pubblicare lo scontrino prima di poter commentare su TripAdvisor in modo da eliminare chi lascia recensioni senza aver messo piede nel ristorante». Il filo comune che lega i tre ristoratori è uno: la comunicazione diretta è la vera chiave di volta per contrastare commenti malevoli, spesso inventati di clienti che spesso ci mettono del loro. «La maggior parte delle volte – conclude Quilichini – chi lascia recensioni false è anche chi si pone con maleducazione con il nostro personale di sala, senza un minimo di comprensione del contesto». Le recensioni negative raccontano, nella minor parte dei casi, di un’impreparazione imprenditoriale, ma nella maggior parte delle volte mettono in evidenza una scarsa cultura alla tolleranza, ed è qui che il vecchio adagio “il cliente ha sempre ragione” potrebbe essere sovvertito.

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