La Nuova Sardegna

I volti della gig economy

L’ordinanza anti-afa, i rider: «Se non lavoriamo non si vive»

di Francesco Zizi
L’ordinanza anti-afa, i rider: «Se non lavoriamo non si vive»

Col sole, le alte temperature o il maltempo sono sempre in strada

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Sassari Sotto il sole cocente di luglio, mentre le città cercano riparo all’ombra, ci sono lavoratori che pedalano senza tregua. I rider, i fattorini delle piattaforme digitali, continuano a muoversi tra ristoranti e appartamenti, zaino termico sulle spalle, anche quando la colonnina di mercurio tocca i 40 gradi. Il loro lavoro non si ferma mai: non d’inverno sotto la pioggia, non d’estate sotto il sole. Nessuno stop, solo la consegna successiva. Tra questi volti, spesso invisibile c’è anche Arslan, classe 1998, originario del Pakistan. Vive in Italia da tre anni. «Prima lavoravo in una fabbrica al Nord, poi mi sono trasferito a Sassari qui faccio il rider», racconta. Lo fa con un sorriso composto, fiero della propria indipendenza economica ottenuta di pedalata in pedalata. «Lavoro dalle 11 alle 15, poi mi fermo qualche ora e riprendo alle 18, e vado avanti finché ci sono ordini». A fine giornata riesce a guadagnare dai 70 agli 80 euro, i fine settimana fino a 120, «ovviamente poi ci pago le tasse sopra» ci tiene a precisare. Quello del rider è un mestiere che ha preso piede con l’esplosione del food delivery e si è consolidato durante la pandemia.

Oggi rappresenta uno dei tanti volti della cosiddetta “gig economy”, l’economia fatta di prestazioni occasionali, ritmi flessibili ma anche di tutele minime, se non inesistenti. E nei mesi estivi, dove l’afa sfuma l’asfalto, l’assenza di una regolamentazione chiara per chi lavora all’aperto, la questione diventa ancora più urgente. «Lavoriamo sotto il sole e sotto la pioggia, è molto faticante ma sono contento», dice Arslan. «La cosa bella è che sono il capo di me stesso, se non mi sento bene non lavoro». È una libertà relativa, perché a ogni ora persa corrisponde una consegna in meno, dunque un compenso perso. «La maggior parte dei rider qui sono tutti pakistani, ci si conosce tutti più o meno». Uno dei luoghi simbolo della loro presenza è piazza d’Italia, nel cuore della città. Durante le ore di punta, soprattutto a pranzo o a cena, diversi rider si ritrovano sotto i portici. C’è chi aspetta di ritirare un ordine dai locali circostanti e c’è si ripara dal caldo in attesa del prossimo incarico. Tra i volti della “gig economy” c’è anche Mohsin, 29 anni, arrivato in Italia da due, sempre originario del Pakistan. Anche lui lavora con la bicicletta e con lo zaino sulle spalle. «Questo è il mio secondo anno a Sassari. Con queste temperature fare le consegne diventa massacrante. L’estate scorsa ho accusato i sintomi di un malore causato dal caldo, mi girava la testa e mi son dovuto fermare all’ombra» racconta.

«Capita anche che a causa delle condizioni climatiche, specie quando c’è pioggia, facciamo ritardo nelle consegne. Alcuni clienti capiscono e ci lasciano la mancia, altri è capitato che si lamentassero con noi. Però alla fine dei conti sono contento di questo lavoro, riesco a vivere dignitosamente, per me questa è la cosa più importante. Alcuni mesi riesco anche a mandare qualche soldo alla mia famiglia che sta in Pakistan». Nel frattempo le piattaforme si tutelano verso i sindacati: il lavoro non è importo ma “accettato”. Sta al rider decidere se uscire o meno, sta a lui rischiare. Ma è davvero una scelta? «Io continuano a lavorare in qualsiasi condizione climatica, anche con il caldo di questi giorni, perché ne ho bisogno», racconta Mohsin. «Se non lavoro non guadagno, è semplice, ma rimane comunque una mia scelta, e mi sento totalmente libero di decidere se e quando lavorare». Sassari, come molte città italiane, non ha numeri ufficiali sui rider attivi, né una regolamentazione comunale che tuteli chi lavora sotto il sole cocente. A livello nazionale invece, il tema è entrato sporadicamente nel dibattito politico, senza mai portare a una vera riforma strutturale. E intanto, il lavoro del rider continua a oscillare tra autonomia e sfruttamento.

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