La Nuova Sardegna

L’intervista

Luigi Patronaggio: «I tentacoli della mafia hanno stretto Alghero, investimenti nei lidi e nei ristoranti»

di Francesco Zizi
Luigi Patronaggio: «I tentacoli della mafia hanno stretto Alghero, investimenti nei lidi e nei ristoranti»

Il procuratore generale: «La Riviera del Corallo non è un caso isolato, tutta l’isola nel mirino di organizzazioni criminali»

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L’ennesimo assalto a un portavalori avvenuto in Sardegna riporta l’attenzione su un fenomeno criminale tutt’altro che episodico e ormai strutturato. Non si tratta più di azioni isolate, ma dell’espressione di un sistema organizzato, capace di mettere in campo mezzi, armi ed esplosivi con modalità paramilitari. Come spiega il procuratore Patronaggio, alla base di queste rapine ci sono gruppi ben radicati, formati da soggetti legati da vincoli familiari o territoriali, e legame con altre realtà criminali, anche di stampo mafioso. L’isola si conferma così non solo teatro di colpi ad alto impatto, ma anche terreno fertile per l’infiltrazione della criminalità organizzata anche continentale, attratta dalle opportunità di investimento – lecito e illecito – offerte da settori come il turismo e la ristorazione. Un quadro che impone un rafforzamento costante degli strumenti di prevenzione e contrasto, a fronte di una criminalità sempre più interconnessa. Il procuratore generale di Cagliari Luigi Patronaggio fotografa l’attuale situazione delle mafie e delle organizzazioni criminali locali.

Procuratore, assistiamo all'ennesimo assalto a un portavalori. Salta all’occhio l’utilizzo massiccio di armi da guerra. Come si muovono queste bande e come si riforniscono?

«L’ennesimo, peraltro assolutamente previsto e prevedibile, assalto ad un portavalori in Sardegna non può non esimerci da una sempre più attenta analisi del fenomeno che ha assunto dimensioni assolutamente preoccupanti per l’ordine e la sicurezza pubblica. Le più recenti indagini ci forniscono indicazioni circa l’esistenza di uno “zoccolo duro” di malviventi, numericamente contenuto, con particolari competenze criminali, disponibilità di armi ed esplosivi, ben protetto all’interno delle zone rurali nel centro della Sardegna, attorno al quale si aggregano di volta in volta altri malviventi per il compimento delle rapine programmate di maggiore rischio e remunerazione. Il sodalizio si è formato nel tempo sulla base di vincoli di sangue, di comparatico o di semplice comune appartenenza territoriale o militanza carceraria. Per meglio descrivere il fenomeno si potrebbe fare ricorso al concetto di “sistema modulare”: un sistema formato da comparti o moduli, efficienti ed autonomi, ma pronti ad assemblarsi fra loro per imprese ben precise quali grossi colpi ai portavalori o ai caveaux delle società di preziosi. Le armi da guerra e gli esplosivi di cui sono dotati tali consorterie spesso provengono dall’Est europeo o da alleanze con clan mafiosi del continente ed in particolare con consorterie mafiose pugliesi o calabre».

Quando si parla di assalti a portavalori parliamo in alcuni casi di colpi da milioni di euro. Come vengono ripuliti questi soldi?

«Il riciclaggio e il reimpiego degli enormi profitti delle rapine, spesso costituiti da denaro contante o preziosi, rappresentano per l’organizzazione criminale un vero problema che per essere risolto necessita del ricorso ad energie esterne al sodalizio criminale. I vecchi metodi di riciclaggio, costituiti da uno spostamento fisico del denaro da una parte all’altra dell’isola o in continente, sono stati soppiantati dal ricorso a figure professionali quali commercialisti, brokers, operatori della finanza, imprenditori collusi. Non si può escludere che i rapinatori creino, operando quali soci occulti, imprese appositamente costituite, operanti nei settori alberghieri e della ristorazione, insieme ad insospettabili soggetti di varia estrazione sociale o professionale. L’organizzazione criminale, insieme o in sostituzione alle prestazioni dei professionisti del riciclaggio, fa inoltre ricorso ad acquisti di grosse partite di stupefacenti di tipo “pesante” che piazza nell’isola, e oggi anche fuori dall’isola, grazie ad una fittissima rete di medio e piccoli spacciatori».

Ci sono rapporti tra le organizzazioni locali e quelle provenienti da Campania, Calabria e Sicilia, ci sono anche casi di infiltrazioni straniere?

«Le bande sarde sono in genere autoreferenziali ma sono stati registrati contatti con organizzazioni campane, calabresi e pugliesi. Questi contatti spesso traggono origine da comuni periodi di detenzione nelle carceri di massima sicurezza sarde, vere palestre del crimine. In relazione al narco traffico, inoltre, ci sono elementi investigativi da cui desumere contatti con organizzazioni criminali del Nord Africa, dell’Est Europeo, della Spagna e della Francia».

Esiste un caso Alghero per quanto riguarda le infiltrazioni mafiose, oppure ci sono altri territori coinvolti?

«Il caso di Alghero, ormai additata da più qualificati osservatori, come la città dove elementi della malavita campana hanno occupato ampi settori dell’economia cittadina - dai ristoranti, alle gelaterie, ai lidi - non rappresenta certo un caso isolato in Sardegna. Si può affermare che la Sardegna, con il suo altissimo potenziale economico nel settore turistico, rappresenta terra elettiva di investimenti e purtroppo anche di investimenti opachi provenienti da soggetti legati ad organizzazioni mafiose continentali. Unica nota positiva in questo preoccupante panorama è che lo Stato è presente ed attivo. La Dda di Cagliari, le Procure circondariali e le Prefetture dell’isola hanno stilato protocolli ed osservatori che lasciano ben sperare per l’attuazione di una seria ed efficace attività di prevenzione».

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