La Nuova Sardegna

Il racconto

Il pacifista sardo a bordo della Global Flotilla: «Non ci fermeremo, i governi europei dovrebbero sostenerci» – L’INTERVISTA COMPLETA

di Massimo Sechi
Il pacifista sardo a bordo della Global Flotilla: «Non ci fermeremo, i governi europei dovrebbero sostenerci» – L’INTERVISTA COMPLETA

Marco Loi si è unito all’iniziativa internazionale che ha l’obiettivo di portare viveri e medicinali a Gaza

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Sassari «Questa mattina abbiamo appreso del violento attacco dell’esercito israeliano su Gaza. La città sta venendo rasa al suolo e invece di scoraggiarci ci sentiamo ancora più motivati: il popolo palestinese ha bisogno di aiuti immediati e noi vogliamo portare il nostro aiuto ma soprattutto vogliamo aprire un canale umanitario». Marco Loi, è il pacifista sardo, di Villaputzu, partito con la Global Flotilla, per portare aiuti umanitari a Gaza. Insieme ad altre venti imbarcazioni è ora a Portopalo, in Sicilia, in attesa che il mare torni praticabile per riprendere la rotta e raggiungere tutte le altre imbarcazioni che partecipano alla missione. «Siamo arrivati qui navigando insieme alla flotilla, ma tra noi e la Grecia c’è maltempo e aspettiamo che si plachi per riprendere la rotta».

Quante persone partecipano alla missione?

«Qui siamo circa 200, distribuiti su una ventina di barche. Oltre alla delegazione italiana: ci sono equipaggi arrivati da diversi Paesi europei, Devono ancora arrivare anche barche da Barcellona e da Tunisi. In tutto siamo circa 600».

Come avete reagito alla notizia dell’attacco israeliano a Gaza?

«Con molto sgomento. Si pensava che l’escalation potesse rallentare e invece le bombe continuano. Ma questo ci dà ancora più motivazione a partire il prima possibile».

Quando pensate di arrivare?

«Il tempo comanderà tanto sulla navigazione. Con mare buono una decina di giorni, con condizioni peggiori anche dodici o tredici».

Avete già vissuto momenti di pericolo nei giorni scorsi?

«Sì, contro una barca della flottiglia a Tunisi sono state lanciate bombe incendiarie con liquidi altamente infiammabili, pensate per distruggere le vele. Fortunatamente non ci sono stati feriti. La prima preoccupazione è stata per gli amici a bordo, poi, saputo che stavano bene, ci siamo sentiti ancora più uniti».

Come affrontate i rischi della missione?

«Un po’ di timore c’è. Ma la motivazione è più forte. Non è una guerra tra due eserciti: è l’esercito più potente del mondo, sostenuto dagli Stati Uniti, che colpisce una popolazione civile. L’intento è chiaro, prendere la Striscia e cacciare i suoi abitanti. Noi siamo coscienti di questo ma andiamo avanti».

Quando ha deciso di unirsi alla Global Flottilla?

«Tra maggio e giugno. Ho sentito il bisogno di dare un contributo concreto, anche con la mia sola presenza. Mi sono occupato della ricerca delle barche e dell’allestimento insieme a un gruppo di amici in Sardegna che da terra ci ha sostenuto in ogni fase».

In questa missione porta anche la bandiera della Sardegna?

«Sì. È un segno di riconoscenza verso chi mi ha aiutato nell’organizzazione e verso una comunità che crede fortemente nella solidarietà. Non mi sento solo: con me ci sono tante persone che dall’isola hanno collaborato, anche senza essere a bordo».

Questa missione vuole anche dare un segnale?

«Vogliamo dimostrare che è possibile arrivare via mare con aiuti umanitari e che i governi europei dovrebbero sostenerci invece di restare in silenzio. Non vogliamo che sia un gesto isolato, ma l’inizio di un percorso».

L’attacco vi ha aggiunto paura o vi ha dato ancora più forza?

«Un po’ di preoccupazione c’è, ma più che per noi. Pensiamo ai palestinesi sotto le bombe, alle famiglie che perdono tutto. È questo che ci dà il coraggio di andare avanti».

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