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Maria Laura Berlinguer: «Racconto l’isola oltre gli stereotipi. La Sassari dell’800 era una città colta e progressista» – Guarda il VIDEO

di Rachele Falchi
Maria Laura Berlinguer: «Racconto l’isola oltre gli stereotipi. La Sassari dell’800 era una città colta e progressista» – Guarda il VIDEO

Il suo ultimo libro “La cena delle anime”: «Il mondo deve scoprire che la Sardegna è mare, ma anche arte e storia»

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C’è sempre un momento, nella vita, in cui si sente il richiamo delle proprie radici. Per Maria Laura Berlinguer, quel momento è coinciso con il bisogno di tornare a raccontare la sua Sardegna – quella profonda, di pietra e silenzio, dove la memoria si intreccia al mito. Manager della comunicazione pubblica, poi ideatrice di un blog diventato punto di riferimento per il Made in Italy, Maria Laura Berlinguer ha costruito negli anni un racconto dell’Italia più autentica. Ma dietro il successo della comunicatrice si celava una voce narrativa che chiedeva spazio. Dopo il debutto con La notte è mia sorella, la scrittrice è tornata alle origini con La cena delle anime (HarperCollins), un romanzo che intreccia la memoria familiare con la spiritualità arcaica della sua terra.

Il titolo richiama un rito antico, “sa chena pro sos mortos”, la tavola imbandita nella notte tra Ognissanti e il 2 novembre per accogliere i defunti: un gesto di memoria e affetto che diventa metafora dell’intera narrazione. Al centro, la Sardegna come luogo dell’anima, scenario e protagonista insieme: il paese di Padria dove la tradizione diventa il simbolo di un legame che attraversa i secoli. Il libro è stato presentato proprio a Padria, là dove tutto è cominciato, e dove abbiamo incontrato Maria Laura Berlinguer per una conversazione che parla di radici, eredità e ritorni necessari.

Lei racconta una Sardegna lontana dagli stereotipi.

«Sì, volevo restituire un’immagine diversa dall’isola rurale e chiusa che si racconta spesso. Nell’Ottocento, a Sassari come nei piccoli centri, esistevano ambienti colti, progressisti, illuminati. Persone che studiavano diritto, archeologia, arte. La Sardegna era un luogo di dialogo con l’Europa, non una periferia del mondo. Abbiamo dato i natali a presidenti della Repubblica, statisti, uomini e donne di estremo valore e che hanno contribuito a fare la storia del nostro Paese. Anche per questo mi oppongo agli stereotipi: la mia è una terra di intelligenza, non di isolamento».

Da dove nasce l’idea del romanzo?

«Da una domanda che mi accompagna da sempre: quanto le generazioni che ci hanno preceduto ci influenzano davvero? Ken Follett dice che ogni romanzo è la risposta a una domanda dell’autore. Io volevo capire quanto della nostra famiglia ci spinge a essere ciò che siamo. Da lì ho intrecciato due fili: quello spirituale, legato al rito sardo della cena delle anime, e quello psicologico, ispirato alla psicogenealogia, una disciplina che studia come i traumi, gli accadimenti dei nostri avi possano attraversare il tempo e condizionare i discendenti».

Le protagoniste, Iride e Mimì, vivono in due secoli diversi ma sono legate da un filo invisibile.

«Iride è una donna di oggi, archeologa, che torna al paese natale dopo la morte del padre. In quella casa piena di memorie trova una fotografia misteriosa e scopre una trisavola di cui nessuno ha mai parlato: Mimì Oppes, vissuta nell’Ottocento. La sua storia, taciuta per vergogna, riemerge e diventa specchio della vita di Iride. Solo portando alla luce i segreti del passato, la protagonista può ritrovare se stessa».

Un tema che si intreccia con la memoria familiare.

«Molto. Nella mia famiglia materna, quella Dessì, ho sempre respirato storie, libri e archeologia. Mio bisnonno Vincenzo Dessì era un grande collezionista, numismatico e studioso: la sua raccolta è oggi custodita al Museo Sanna di Sassari. Da bambina ascoltavo mio nonno raccontare delle spade votive di Padria, reperti che mi hanno ispirata e che spiegano anche l’ambientazione del romanzo. Quelle spade non servivano a combattere ma erano un ex voto: promesse, desideri, segni di fede. Ecco, La cena delle anime è se vogliamo un ex voto alla memoria».

Scrivere come atto di riappropriazione?

«Ho iniziato a scrivere da adulta. Forse perché la vita, la società o la famiglia ci deviano dalla nostra strada, ma il daimon, come lo chiamavano i Greci, ci riporta sempre verso il nostro talento. Per me la scrittura è questo: un ritorno alle origini, un modo per dare voce a ciò che avevo ereditato senza saperlo. Anche mia nonna scriveva. La sua macchina da scrivere, una vecchia Remington, è ancora con me».

Ci sono figure femminili che sono state d’ispirazione per la sua vita?

«Sicuramente lei, mia nonna materna, Maria Dessì Ruiu. Mi ha influenzata tantissimo, anche se forse allora non me ne rendevo conto. Negli anni Sessanta scriveva romanzi d’amore, i cosiddetti romanzi d’appendice, per le grandi riviste femminili dell’epoca ed era contrattualizzata con Mondadori. Era una donna modernissima per i suoi tempi. Io ricordo che da bambina passavo le giornate con lei, a Serra Secca, in giardino. Si metteva a scrivere all’aperto, e io stavo lì, sotto il tavolo, ad ascoltare. E poi, certo, ci sono le grandi scrittrici sarde che ammiro – Grazia Deledda, ma anche Maria Giacobbe, che secondo me non è stata riconosciuta abbastanza per quello che ha fatto. Sono figure che hanno saputo dare voce a un mondo femminile forte, profondo, mai stereotipato».

Nel romanzo il confine tra vivi e morti è sottile. È un racconto spirituale?

«Sì, credo che i nostri defunti non scompaiano: restano accanto a noi, ci guidano come spiriti benevoli. Il rito della cena delle anime è un gesto d’amore: si prepara la tavola più bella, si usano le tovaglie ricamate, si cucina per loro. Non è un Halloween sardo, è una festa della memoria. Li celebriamo per non dimenticarli, e così facendo celebriamo anche noi stessi».

Essere una Berlinguer pesa o aiuta?

«È impegnativo, senza dubbio. Crescere in famiglie come le mie, dove sono nati intellettuali, politici, giuristi e statisti, significa convivere con modelli molto alti, paragoni inevitabili. Ti senti sempre chiamata a essere all’altezza, a dare il meglio. Ma allo stesso tempo è una ricchezza enorme, perché ti educa a pensare in grande, ad aprire lo sguardo, a coltivare curiosità e senso civico. E non riguarda solo la mia famiglia: è proprio il respiro di Sassari, una città che fin dall’Ottocento è stata un laboratorio culturale, patria di pensatori, artisti, uomini di legge e di un fermento intellettuale straordinario. Noi ne portiamo l’eredità — e anche la responsabilità. Io però ho fiducia: credo molto nelle nuove generazioni. Ogni tanto serve che una o due generazioni si fermino per poi rinascere, ma il ciclo si rinnova sempre. È fisiologico. E questo mi dà speranza».

Un romanzo che sta già viaggiando nel mondo.

«È una grande gioia: La cena delle anime sarà pubblicato anche in Francia, Germania, Spagna, Olanda e Svezia. Per me significa poter raccontare al mondo una Sardegna che non è solo mare, ma anche storia, arte e archeologia. Vorrei che chi viene sull’isola scoprisse i nuraghi, i pozzi sacri, i giganti di Mont’e Prama, e sentisse che questa terra ha un’anima che parla ancora, che è ben altro che sole e mare, ma radice, valori, conoscenza».

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