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Dieci giorni in coma, la paura, il miracolo del risveglio: il racconto della moglie di Achille Polonara

di Luigi Soriga
Dieci giorni in coma, la paura, il miracolo del risveglio: il racconto della moglie di Achille Polonara

Nel programma Le Iene le parole di Erika. Il campione di basket un mese fa ha ricevuto un trapianto di midollo

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Sassari «È un casino. Achille è andato in coma». Tre parole, e il mondo si ferma. La voce arriva spezzata, trafitta, piena di paura. È Erika, la moglie di Achille Polonara. L’uomo, il campione, il gigante del basket italiano, è tra la vita e la morte. Le Iene, nella trasmissione di ieri notte, partono da qui e poi riavvolgono il nastro.

Un mese prima, nel reparto trapianti del Sant’Orsola di Bologna, Achille scherzava con i medici. «Non ho paura», diceva. «Penso solo ai miei figli e a mia moglie». Aveva ricevuto un trapianto di midollo da una donatrice americana compatibile al 90%. «Sembra una passeggiata», raccontava con quel sorriso che non mollava mai. Poi, dieci giorni fa, il buio. Un trombo, un’ipossia cerebrale. Il cervello che resta senz’aria per troppo tempo. «Le possibilità di vita erano bassissime», ricorda Erika. «Mi hanno detto: speriamo si risvegli, anche paralizzato. E io ho pensato: va bene così, ma che si risvegli. Solo questo».

Quando Achille si è svegliato, lei era lì. «Gli parlavo, anche se era in coma profondo. Gli dicevo: non mi lasciare sola, abbiamo bisogno di te. E lui, ogni volta che lo dicevo, faceva un piccolo movimento. Ho capito che mi sentiva. Era impossibile che non mi sentisse. Io ho smesso di essere credente, da quando lui si è ammalato. Ma qualcosa c’è, perché questo è un piccolo miracolo». Erika non dormiva più. «Andavo a letto vestita, pronta per correre in ospedale. Quando mi hanno chiamato quella mattina, mi hanno detto solo “è grave”. Ho chiesto: è vivo? E nessuno rispondeva. Ho pensato: «ca**o, è morto». Poi, finalmente, mi hanno detto sì, è vivo. Ma la situazione non è bella».

Eppure, da quella notte sospesa, Achille è tornato. Piano. A modo suo. «Quando si è svegliato per la prima volta era con me», racconta Erika, «ha aperto gli occhi. Io ho chiamato i medici urlando: non è un sogno, li ha aperti davvero! Ma loro mi dicevano di stare calma, che forse era uno stato vegetativo. Però io lo vedevo, lui mi riconosceva». «Sì, ti ho riconosciuto subito», conferma lui. «Per me era come se avessi dormito. Non mi ricordo molto, ma ti sentivo». All’inizio non cercava i bambini. «Questo mi ha fatto paura», confessa Erika. «Pensavo: come gli spiego chi sono i nostri figli? Poi, quattro giorni dopo, mi ha guardata e mi ha detto: i bimbi? E lì mi si è aperto il cuore». Achille oggi ride, anche delle sue stranezze. « Non è esattamente lui, sorride Erika, non ha più filtri: dice parolacce, urla ai medici. Una volta ha gridato in ospedale che erano quaranta giorni che non facevamo sesso, che ormai eravamo solo amici», racconta ridendo. «È tornato, ma non è ancora lui», dice.

«Ogni mattina viene la fisioterapista, e lui brontola, non ha voglia. Però poi si impegna. Mi ha promesso che lo farà. Che ci aiuterà a superare tutto questo insieme». Anche i bambini devono fare un percorso. «Vittoria ha avuto attacchi di panico, iniziava a piangere senza motivo. Una mattina, per portarla a scuola, è stato un disastro. Ma Achille ora è con noi, e questo basta». E così, dopo dieci giorni di coma e settimane d’ospedale, Achille Polonara ha rimesso piede a casa. «La prima cosa che volevo fare era mangiare sushi», sorride lui. E mangia un raviolo in un boccone. È in carrozzina, magrissimo, con gli occhi verdi enormi nel viso scavato. Il braccio un po’ più debole, ma la stessa voglia di vivere di sempre. «Sono contento di essere qui», dice. «L’ospedale ormai l’ho già dimenticato. Sicuramente sono fortunato». Erika gli stringe la mano. «Io te l’ho detto anche quando eri in coma: mi hai fatto una promessa, quindi ce la devi fare per forza». Lui la guarda e sorride. «Le promesse vanno mantenute».

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