Carla Monni: «Con l’intelligenza artificiale creo ponti tra l’isola e il mondo»
L’artista di Orune tra i protagonisti di Connessioni Future 2025 «La tecnologia non sostituisce la creatività, è uno strumento che aiuta l’arte»
C’è un punto d’incontro in cui mito, identità e tecnologia smettono di essere mondi separati e si incontrano, grazie all’intelligenza artificiale. In quel luogo virtuale si trova il lavoro di Carla Monni artista sarda che sarà tra i protagonisti di Connessioni Future 2025. Racconterà come l’intelligenza artificiale possa diventare strumento creativo e, insieme, leva imprenditoriale per chi ha idee ma non dispone per forza di budget hollywoodiani.
Di cosa parlerà al pubblico di Connessioni Future?
«Vorrei mostrare che l’intelligenza artificiale può essere un alleato della creatività. Racconterò il mio percorso e i modi alternativi di costruire impresa partendo dall’arte. Monniverse è un progetto nato dal desiderio di democratizzare lo storytelling, di togliere il monopolio ai grandi colossi come Disney e restituire la possibilità di creare anche a chi non dispone di risorse economiche enormi. Monniverse l’ho creata come una nuova Atlantide digitale, ispirata alla Sardegna tra passato e futuro».
Come funziona una mostra di Monniverse?
«Ogni esposizione racconta un diverso “regno” dell’universo che ho immaginato, ognuno legato a un aspetto della Sardegna. L’obiettivo è che chiunque, un sardo, un americano o un coreano, possa riconoscervisi. L’estetica è pop e internazionale, ma dietro c’è la memoria delle leggende sarde. In alcune tappe ho messo a disposizione generatori d’immagini: i bambini potevano creare i propri personaggi e sentirsi parte della storia, un’esperienza immersiva».
Quando ha capito che l’intelligenza artificiale avrebbe cambiato il suo lavoro e il suo modo di fare arte?
«Nel 2018, a Helsinki. In quel periodo si cominciava a parlare di intelligenza artificiale e arte generativa. Ho seguito corsi universitari e mi sono accorta che la tecnologia poteva diventare un’estensione del corpo, quasi un organo nuovo del pensiero. Ho iniziato a concepirla non come una minaccia ma come un’estensione della mente creativa».
Molti temono le conseguenze dell’Ia, lei come la vive?
«È un po’ come avvenne con la rivoluzione industriale: alcuni lavori spariranno, ma ne nasceranno altri. L’intelligenza artificiale è un mezzo potentissimo, il problema non è la macchina ma la gestione dei dati. Bisogna sapere a cosa si acconsente, quando si clicca “ok” sui cookies o si usa il riconoscimento facciale. La responsabilità resta umana. L’etica dovrà essere la bussola delle istituzioni».
C’è il rischio che possa sostituire la creatività umana?
«No. È come se si trattasse di un pennello nuovo. Quando uscì photoshop molti dissero che l’arte digitale non era arte: oggi nessuno lo pensa più. La tecnologia accelera, ma non sostituisce. Due persone possono usare lo stesso modello e produrre risultati completamente diversi: la differenza resta nella mente, non nel codice». Quale consiglio darebbe a chi vuole sperimentare?
«La cosa più importante è sempre la comunicazione. Bisogna imparare a parlare. Lo dico sul serio: la macchina ti costringe a essere chiaro. Scrivere un buon prompt è come tornare alle analisi logiche di scuola: impari a ordinare le idee, a dare priorità, a tradurre la visione in parole. L’Ia ti insegna a comunicare meglio, e questo migliora anche la creatività».
Come immagina l’intelligenza artificiale nel futuro?
«Ci sarà una fase di crisi. Un’azienda può già creare dieci agenti digitali che gestiscono social, mail, agenda: è inevitabile che molti ruoli scompaiano. Ma poi arriverà un nuovo equilibrio. La cosa più grande che accadrà sarà la democratizzazione del sapere: non serviranno più università costose per imparare. L’accesso all’informazione diventerà sempre più libero, e riuscirà ad abbattere molte barriere sociali».
Cambieranno anche i rapporti tra persone e culture?
«Assolutamente. L’intelligenza artificiale cancella la necessità del luogo fisico. La globalizzazione culturale è già realtà: le nuove generazioni non vedono differenze di nazionalità. Online puoi essere una sirena o un fungo e dialogare con chiunque. È un mondo senza confini, dove l’identità diventa scelta e racconto. Ci saranno rischi, certo, ma anche un’enorme possibilità di connessione».
E dal punto di vista sociale quali sarà l’impatto?
«Noi in Italia e in Europa siamo privilegiati: altrove una donna può usare il telefono per lavorare o studiare, pur vivendo in un contesto che le nega libertà. Per molte persone la tecnologia non è un gioco, è una via d’uscita. È su questa prospettiva globale che bisogna misurare le paure occidentali verso l’Ia».
Oggi Monniverse è anche un archivio di miti sardi reinterpretati.
«Una delle figure che amo di più è la Surbile, la strega-vampira che, secondo la tradizione, rubava l’anima ai bambini non battezzati. Nel mio mondo è diventata una sirena un po’ folle, ossessionata dal tempo. È il mio modo per dire che le storie antiche possono rinascere e parlare ancora di noi, se usiamo linguaggi nuovi. Mi piace pensare che la tecnologia non allontani ma avvicini. Monniverse è un ponte tra memoria e futuro, tra la mia isola e il mondo. L’arte, oggi, è il modo più potente per costruire connessioni».

