Davide Coero Borga: «La scienza non è una religione ma una lente per leggere la realtà»
Il divulgatore a Sassari per Connessioni future: «L’abbandono scolastico è un fenomeno da affrontare con responsabilità»
È uno dei volti più riconoscibili della divulgazione scientifica italiana. Filosofo, tecnologo, e narratore della scienza, Davide Coero Borga è autore televisivo e conduttore Rai. Il 12 novembre sarà all’Ex-Ma.Ter di Sassari per l’iniziativa “Connessioni future”. Borga terrà uno speech dedicato alle scelte degli studenti, all’abbandono scolastico, alla formazione lungo tutta la vita e al valore delle discipline Stem (scienza, tecnologia, ingegneria e matematica).
Lei affronta spesso il tema delle discipline Stem. Perché sono così importanti oggi?
«Perché viviamo immersi nei dati. Abbiamo telecamere, sensori, centraline che raccolgono informazioni ovunque, ma se nessuno sa leggerle restano inutili. Saper analizzare i dati è una competenza richiesta da assicurazioni, supermercati, logistica, biotecnologie, trasporti e informatica. L’Unione europea continua a richiedere laureati Stem, e la domanda continua a crescere, mentre in Italia solo il 16,6% delle ragazze e il 37% dei ragazzi intraprende percorsi scientifici. Dobbiamo incentivare molto di più».
Borga, incontrerà una platea di studenti delle scuole superiori. Quali messaggi chiave porterà sul palco?
«Parlerò del perché vale la pena studiare e, soprattutto, del perché vale la pena non mollare. L’abbandono scolastico è un fenomeno concreto, delicato, da contrastare con responsabilità. Vorrei mettere i ragazzi di fronte a dati e storie: oggi formarsi è necessario per tutta la vita, non solo per superare un esame. Continuare a imparare significa restare curiosi, consapevoli, capaci di interpretare la realtà. Quello che vorrei è donare degli occhiali a chi mi ascolta, uno strumento per comprendere ciò che ci circonda».
La scuola italiana invece è ancora ancorata a quel modello “gentiliano” e arcaico, divisa tra scienza e umanesimo. Come si esce da questo modello?
«Credo che qualcosa stia cambiando. La separazione tra culture non è più sostenibile: viviamo in un contesto tecnologico dove competenze diverse devono dialogare. Gli studenti stessi chiedono nuovi modelli. Dirigenti scolastici e università stanno sperimentando avvicinamenti e percorsi integrati. Gli istituti tecnici sono una risorsa enorme e oggi i licei compensano alcune mancanze guardando proprio a loro, per esempio mi viene in mente il progetto dell’alternanza scuola-lavoro».
Negli ultimi anni abbiamo visto come teorie folli su Covid e cambiamento climatico siano state sposate da tante persone, come si costruisce un racconto efficace della scienza?
«Sto lavorando a un programma con Telmo Pievani e Silvia Bencivelli proprio sulla percezione della scienza. La pandemia e il cambiamento climatico ci hanno mostrato che la scienza non è una religione che dà risposte definitive. Offre strumenti, mette davanti possibilità, ma sempre con un grado di incertezza. Come affrontiamo i problemi, invece, è scelta politica, sociale, economica, nel puzzle sono tanti gli attori in campo. Vogliamo meno rifiuti in discarica? Allora serve un termovalorizzatore. Vogliamo dell’energia pulita? Allora serve piazzare un rigassificatore in una città di mare, ogni decisione implica compromessi e sentimenti diversi. È anche vero che i tempi moderni ci stanno mettendo davanti alle nostre responsabilità e a quanto sia faticosa la democrazia».
È questo che intende quando parla di “occhiali per leggere la realtà”?
«Esatto. Per esempio l’obiettivo del mio speech a Connessioni non deve dare risposte preconfezionate, ma fornire lenti. Noi torniamo a casa e guardiamo la nostra realtà: la scienza ci accompagna, cambia, si emenda, è questa la cosa più affascinante. Funziona fino a quando qualcuno offre una risposta migliore. Questo processo ci mette di fronte alle nostre responsabilità e alla fatica della democrazia».
La sua carriera televisiva l’ha portata anche a lavorare con Piero Angela. Qual è l’eredità più grande che ci ha lasciato nel metodo di comunicazione della scienza?
«Lavorare con lui è stato un regalo immenso. Oltre all’umanità, la cosa più preziosa erano le sue annotazioni: cancellava, asciugava, tagliava. Ci teneva a dire il meno possibile in modo chiarissimo. L’eredità più grande è questa: scegliere bene le parole e usarle per raccontare il mondo con semplicità e rigore. Poi quando si accendeva la spia rossa della telecamera era identico a com’era fuori: gentile, curioso, autentico. Un esempio irripetibile».
Se potesse lasciare una sola frase agli studenti, quale sarebbe?
«Beh forse l’insegnamento di cui parlavo prima: provate a dire poche cose ma dette bene e nella maniera più chiara possibile. Abituatevi a raccontare ciò che sapete con precisione».

