Il racconto: «Io, tedoforo per caso: la fiaccola accesa e l’emozione olimpica»
Cento metri alla Pelosa, tra la folla, con le lacrime: «Portare quella torcia è come salire sul podio. E un giorno dirò: sono stato azzurro di sci...»
Non sto piangendo, mi è solo entrata la fiaccola in un occhio. E non sto tremando per l’emozione, dev’essere colpa di questo levantino che spolvera la sabbia e ti entra nelle ossa, in questo sabato mattina di dicembre. Strano, perché la curiosa divisa che ci hanno fatto indossare – un po’ da Ris, un po’ da Teletubbies – è perfetta per una giornata come questa. Con il cielo azzurro proprio come quest’acqua da sogno e il sole che si riflette sulla torcia argentata e ti acceca. Ecco, forse è il riflesso: è per questo che qualche lacrima mi solca il viso mentre mi guardo intorno e ci sono solo io, sulla spiaggia della Pelosa, con in mano una torcia che sta per essere accesa. C’è solo lei, non vedo altro, anche se ho qualche decina di smartphone e teleobiettivi puntati sopra e sulla mia testa volteggia uno sciame di droni. Sento il rumore di un elicottero, in lontananza, ma non alzo neppure gli occhi per vedere da dove arriva. Siamo io, lei e questo scenario fantastico.
L’hanno chiamata “Essential”, la mia compagna di questo breve e straordinario viaggio. Un chiletto e mezzo di design abbinato a materiali riciclati, con leghe di alluminio e ottone. Mi metto a lucidare il loghetto con i Cinque cerchi che si trova proprio a metà della torcia, lo metto a fuoco e vacillo. Faccio in tempo a pensare a cosa ci faccio qui, a come sono arrivato ad alzarmi presto un sabato mattina di dicembre per andare a Stintino a fare il tedoforo per le Olimpiadi invernali. Un link pescato sul fondo di una mail che l’organizzazione dei Giochi di Parigi 2024 mi inviò per ringraziarmi di aver fatto parte, da spettatore, di quel fantastico viaggio. “Vorresti fare il tedoforo per Milano-Cortina 2026?”. “E me lo chiedi?”, avrei voluto rispondere. Invece mi sono solo attenuto alle indicazioni: mi sono iscritto alla piattaforma, ho compilato e inviato un lunghissimo questionario nel quale – mi era subito parso evidente – il curriculum professionale e quello di sportivo non avevano alcun peso, mentre le motivazioni, il rapporto con il concetto di Olimpiadi e le esperienze in ambito sociale e culturale avrebbero fatto la differenza. Le bugie hanno le gambe corte, nelle questioni di cuore, e per me i Giochi sono qualcosa di simile. Non mentono gli occhi che si inumidiscono ogni volta che vedo un podio olimpico, non mente la pelle d’oca provata ognuna delle centinaia di volte in cui ho guardato i video delle imprese di Berruti, Bikila, Lewis, Sotomayor, Abbagnale, Chechi, Vezzali, Edwards, PattaJacobsDesaluTortu (tutto attaccato), più tutti gli altri, anche quelli che non hanno vinto ma almeno ci hanno provato. Ci avrei provato anch’io, se fossi stato uno sportivo almeno decente. Invece mi sono limitato a praticare tantissimi sport, sempre con risultati scadenti, ma a divertirmi sempre e a seguire qualsiasi disciplina. Non un investimento a vuoto, perché sognare, guardare e registrare è un esercizio che mi ha sempre aiutato nella mia professione di giornalista, prevalentemente giornalista sportivo. Se non avessi sognato con loro, gli sportivi veri, gli olimpionici, oggi non avrei la passione per raccontare le loro storie e farei un altro mestiere.
Intanto però ai margini della spiaggia inizia a crearsi una certa agitazione. È chiaro: sta arrivando il tedoforo che mi precede. È una questione di attimi: tra poco la mia fiaccola si accenderà e non saremo più solo io e lei, perché tutti gli occhi saranno puntati su di noi. Il “torch kiss” è rapido, coinvolgente e travolgente. La torre spagnola della Pelosa, l’acqua turchese e la sagoma dell’Asinara nell’era dei social sono uno sfondo da un milione di visualizzazioni. In mezzo ci sono pure io. Ora la fiamma arde e devo camminare lungo il percorso che mi è stato indicato. Il rumore dell’elicottero si fa sempre più vicino e riesco a riconoscerlo: è quello blu della polizia. Faccio come i bambini, lo saluto, e vedo chiaramente una mano che risponde. Ci hanno chiesto di essere gentili con gli spettatori e allora io sorrido e saluto tutti. Due bambini mi salutano con più trasporto degli altri, quando passo davanti a loro. Sono i miei figli e mi rendo conto che se non sono stramazzato al suolo per l’emozione in quel momento, allora posso davvero farcela. Cammino spedito, corricchio, sorrido agli smartphone. Ancora per un paio di minuti saremo io e Lei, io e la fiaccola, io e le Olimpiadi da soli al centro del mondo. Non so cosa provi un atleta sul podio dei Giochi, ma forse è qualcosa di simile a questa strana euforia che ho dentro. “Sono stato azzurro di sci”, potrò raccontare un giorno, in stile Fantozzi. Non è vero, l’ho soltanto sognato. Eppure a volte le curve della realtà ti portano in luoghi inaspettati. Magari con una torcia in mano, un sabato mattina di dicembre, vestito con una strana tuta con sopra i Cinque cerchi e la scritta Milano-Cortina 2026.
