La Nuova Sardegna

Sassari

Pestaggio per odio razziale, condannati

di Elena Laudante
Pestaggio per odio razziale, condannati

Fratelli marocchini aggrediti nel 2009 durante una festa ad Alà dei Sardi: 4 anni e mezzo a due giovani del paese

29 marzo 2012
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SASSARI. Bisognerebbe poter vedere la foto scattata al cittadino italiano Bouazza Dakik, origini marocchine, subito dopo il pestaggio, per capire la sentenza di ieri. La faccia gonfia dove s’intravedono le fessure degli occhi, la garza bianca che dalla fronte scende fino a coprire il naso e un cerotto sull’occhio destro, che non vedrà più come prima. Dovrebbero metterla su volantini da distribuire in giro. Secondo il tribunale di Sassari quell’immagine è il frutto dell’odio razziale che alimentò l’assalto ai fratelli Bouazza e Jad Dakik, ambulanti arrivati ad Alà dei Sardi per la festa di San Francesco, il 5 ottobre 2009. E andati via in barella. Picchiati, derubati, insultati: «Marocchini di merda - gridava loro il branco composto da 20-25 persone - Andatevene dall’Italia e tornatevene al vostro paese se no vi bruciamo vivi in mezzo al furgone», dove i fratelli dormivano.

Del branco, secondo il verdetto di ieri, facevano parte due ragazzi originari del paese nel mezzo della Sardegna. Marco Davide Ledda, 22 anni, e Antonello Mette, 29, sono stati condannati a 4 anni e 6 mesi di carcere per una sfilza di reati - dalla rapina alle minacce - «aggravati dall’odio razziale». È una terribile novità giudiziaria da queste parti. E spiega, così come contestato dal pm Giovanni Porcheddu (più severo nel sollecitare 5 anni e 6 mesi), la spedizione punitiva organizzata la sera della festa contro gli ambulanti venuti da un centro dell’Oristanese.

Dopo mezzanotte Bouazza e Jad Dakik avevano raccolto le loro merci, tende e biancheria, e invece di tornare a casa avevano preferito guadagnare un altro giorno di lavoro approfittando del furgone, dove ogni tanto dormivano. Avevano scelto di parcheggiarlo sul lato del piazzale della chiesa campestre opposto rispetto alla fila dei chioschi del vino; era più tranquillo. Ma non trovarono pace: qualcuno iniziò a battere dall’esterno, uno dei due fece per uscire a controllare chi fosse e il branco li attirò fuori, li schiacciò per terra. «Mentre chiedevo a quelle persone cosa volessero da me e mio fratello, qualcuno mi sferrò una bottigliata sull’occhio», (rimasto in parte cieco) ricorderà Bouazza, il maggiore dei due, al processo-stralcio in corso a cinque dei sette sospettati. Tra i due imputati giudicati ieri, invece, secondo l’accusa il più giovane - Ledda - brandiva un coltello. E tutti assieme parteciparono alla razzia del furgone per portare via lenzuola e asciugamani, 1.500 euro di contanti e un lettore Dvd portatile.

Prima di andare via qualcuno di loro avvertì: «O ve ne andate o vi facciamo fuori». Nel piazzale della chiesa della festa, che pure era ancora in corso, nessuno chiese aiuto. La chiamata ai carabinieri di Ozieri partì dal cellulare di una delle due vittime, all’1.34. Una tempestività inutile. Quando arrivarono i carabinieri non poterono avviare le indagini. Nessuno aveva sentito parlare di una rissa, men che meno di un pestaggio. Lì si festeggiava solo, se volevano «bere qualcosa sarebbero stati ospiti», fu detto ai carabinieri. Che riferirono nella relazione di servizio di persone ubriache e così «ostili con i militari» da costringerli ad andare via senza identificarli.

Saranno i due ambulanti, dopo giorni d’ospedale, a riconoscere gli imputati in foto, facendo scattare gli arresti e il processo. I difensori di Ledda e Mette, Lorenzo Galisai e Gian Mario Fois, avevano scelto il rito abbreviato condizionato all’audizione di quattro testimoni “d’alibi”. E invece «tre di loro hanno detto menzogne», ha accusato il pm Porcheddu nella requisitoria, ieri, prima di annunciare un’inchiesta per falsa testimonianza. In aula come nella piazza della festa, nessuno aveva visto gli italiani picchiare i marocchini per quell’affermazione di «inferiorità sociale» dell’altro che, sostiene la Cassazione, è alla base dell’odio con finalità di discriminazione.

L’odio che secondo l’avvocato che tutela le vittime, Francesca Macis (ai fratelli il risarcimento di 10mila euro) non è scemato nemmeno durante il processo, a tanti mesi dai fatti. «Uno dei due aggressori, qui, ha parlato delle persone offese con disprezzo, come di “africani, o non so da dove vengono”», ha ricordato il legale. I difensori hanno contestato il riconoscimento fotografico definitivo, perché «avvenuto dopo la pubblicazione della foto degli imputati sulla stampa». Hanno anche messo in dubbio la capacità visiva in quel punto della piazza, di notte. «Come fecero a distinguere le facce degli aggressori?», si è chiesto Galisai. E Fois ha citato il Ku Klux Klan per dire che non è certo arrivato ad Alà dei Sardi. Ma la violenza «selvaggia e gratuita», l’ha definita il pm, quella sì. Bouzza ha cambiato lavoro. Col fratello non è più tornato in quel paese.

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