La Nuova Sardegna

Sassari

Un ginecologo firma i primi referti in limba

di Daniela Scano
Un ginecologo firma i primi referti in limba

Lucio Zirattu: «Ho deciso di fare qualcosa di concreto per applicare la legge sul bilinguismo»

19 luglio 2012
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SASSARI. Quando il ginecologo le informa di essere arrivate alla fine de “su primu de sos tre meses de raidesa”, le future mamme – come vuole la tradizione dopo i primi tre mesi di gravidanza – danno la notizia del prossimo lieto evento ad amici e parenti. Anche i futuri papà leggono commossi il certificato di Lucio Zirattu, 48 anni, di Ossi, “dutore ispetzializadu in ostretricia e zinecoluzia”. Sono già quaranta, annuncia orgoglioso il dottore, che hanno ricevuto dalle sue mani un referto medico compilato in italiano e in sardo. «Lo faccio da un mese e sono il primo in Sardegna – spiega il medico, mostrando copia del modulo –. Ho deciso di applicare la legge 482/99 e di fare qualcosa che tuteli il bilinguismo anche nella pratica. Le pazienti sono contente, anche se qualcuna non conosce il sardo. I colleghi invece si dividono: quelli sardi si complimentano, i “continentali” invece sono un po’ sconcertati».

Ma tant’è: il dottore-dutore va avanti per la sua strada, convinto di avere imboccato quella giusta. «Del resto – chiosa – in Alto Adige i referti sono rigorosamente scritti in italiano e in tedesco». Se la traduzione dall’italiano al tedesco dei termini ginecologici è semplice, il dottor Zirattu ammette di avere fatto un po’ di fatica quando ha cercato la corrispondenza sarda di numerosi termini anatomici. Così si è rivolto a un suo grande amico: l’ittirese Giampiero “Zampa” Marras, convinto indipendentista, perennemente vestito con abito etnico e “berritta” d’ordinanza. Zampa ha messo a disposizione del ginecologo le sue fino ad ora misconosciute competenze lessical-ostetrico-ginecologiche. I primi referti sardo-italiano, spiega Lucio Zirattu, riguardano i moduli di refertazione ecografica nel primo trimestre di gravidanza-raidesa. «Ma sto preparando altri moduli» annuncia il ginecologo.

Il lavoro fino ad ora non è stato semplice perché, spiega il dottore, di certi termini si è persa la memoria. «Il fatto – è la sua convinzione – è che i professori che hanno insegnato ostetricia e ginecologia nelle università sarde erano quali tutti italiani e non si esprimevano in sardo». Con docenti autoctoni gli specializzandi avrebbero imparato nelle aule universitarie che utero in sardo si dice “uteru”, vagina si traduce “sa natura ’e sa femina” (da non confondere con sa natura ’e sos homines, di competenza dell’urologo ndr). E al primo ritardo (amenorrea in italiano, sa mancantzia de règulas in sardo) le donne sarebbero andate di corsa dal ginecologo che avrebbe rilevato la presenza o l’assenza nell’uteru di un embrione (brione-fetu), l’atividade de su coro (attività cardiaca) e l’amnionitzidade (amniocità) per stabilire la diedatadura acurafica currispondhemte a sa mancantzia de regulas (in altre parole la datazione ecografica corrispondente all’epoca di amenorrea).

Orgoglioso di avere colmato questa grave lacuna, il dottor Zirattu ammette con modestia di non essere stato il primo ad avere l’idea di tradurre in sardo i termini ostetrico-ginecologici. Prima di lui, nel 1827, aveva provveduto il ginecologo cagliaritano Efisio Nonnis con le “Brevis lezionis de ostetricia po usi de is llevadoras de su regnu”. Il manualetto si rivelò utilissimo per le levatrici campidanesi del regno sardo-piemontese ed è stato ripubblicato dalla tipografia “3T” di Cagliari «in segno di omaggio per le antiche e sempre vive tradizioni culturali della loro terra». In fondo, è lo stesso scopo di Lucio Zirattu.

Chissà se il ginecologo bilinguista e Zampa Marras hanno cercato anche la traduzione del mitico “punto G” che anima da sempre i dibattiti planetari sulle zone erogene. Se non l’hanno fatto è perché non si tratta di un termine scientifico, ma forse la traduzione è possibile. In Logudoro è facile sentire intercalare con la parola “bodale” (il “coso”). Il dibattito è aperto.

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