La Nuova Sardegna

Sassari

Morto in carcere, i legali: «Indagate ancora»

di Nadia Cossu

Ucciso da un’overdose, il pm chiede l’archiviazione e gli avvocati si oppongono: dov’è finita la siringa?

26 agosto 2014
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SASSARI. Come era finita la droga in un carcere moderno, appena inaugurato? Come aveva fatto il detenuto romeno a eludere i controlli riuscendo a iniettarsi con una siringa l’eroina che lo uccise? Sono tanti gli interrogativi senza risposta nella vicenda che ruota intorno alla morte di Viorel Neicu, 30 anni, avvenuta ad agosto del 2013 nell’istituto penitenziario di Bancali. In un primo momento si era detto che il detenuto romeno fosse morto per un infarto fulminante. Ma i familiari della vittima non hanno mai creduto a una morte naturale, anche perché proprio sei mesi prima del decesso, Viorel si era sottoposto ad alcune visite mediche in carcere che avevano accertato il suo ottimo stato di salute. Per questo i parenti avevano chiesto con forza che venisse fatta chiarezza. E per arrivare alla verità si erano affidati agli avvocati di Olbia Cristina e Abele Cherchi. A gennaio la svolta: la perizia depositata dal medico legale Vindice Mingioni su richiesta del pubblico ministero Elisa Loris rivela che a causare la morte di Viorel Neicu fu un’overdose di eroina iniettata con siringa. Il risultato dell’esame eseguito da Mingioni aveva dunque aperto nuovi scenari e la speranza dei familiari era che la Procura di Sassari arrivasse a una conclusione diversa dalla richiesta di archiviazione. E invece è stata proprio questa la richiesta del pm Loris alla quale oggi si sono opposti i familiari del romeno attraverso i due avvocati Cherchi che chiedono al gip di rigettare la richiesta del pubblico ministero e disporre invece la prosecuzione delle indagini per accertare, tra le altre cose, «come sia stato possibile che all’interno di un carcere di massima sicurezza venisse spacciata e/o ceduta della droga, distribuita “tranquillamente con il carrello della spesa”; che nel momento in cui Neicu Viorel moriva, verosimilmente non fosse presente in sezione neppure un agente; che il defibrillatore avesse le piastre scariche dal 2010; che gli agenti non abbiano rinvenuto la siringa utilizzata da Neicu (così come ha accertato la perizia del medico legale ndc), che proveniva presumibilmente dall’infermeria, nonostante il detenuto fosse morto pochi minuti dopo la puntura letale e nonostante la cella fosse chiusa a chiave; che alcuni reclusi, con precedenti presso il consiglio di disciplina o denunciati, fossero destinati ad attività lavorativa interna di “spesino”, “scopino” etc.; che colui/coloro che avrebbero ceduto e/o somministrato l’eroina al Neicu sapesse/sapessero che la stessa, una volta consumata, ne avrebbe causato la morte». Interrogativi che gli avvocati Cristina e Abele Cherchi si augurano possano trovare risposta.

©RIPRODUZIONE RISERVATA

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