La Nuova Sardegna

Sassari

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Collezione Sclavo, quando le istituzioni perdono un tesoro

di Alessandro Ponzeletti
Collezione Sclavo, quando le istituzioni perdono un tesoro

Alla fine dell’Ottocento lo Stato non volle acquistare dall’avvocato Aperlo i reperti raccolti dallo zio monsignore e il legale fu costretto a vendere tutto agli inglesi

23 novembre 2014
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A proposito di mancate valorizzazioni, o peggio perdite, del patrimonio archeologico sardo: sia il Canonico Giovanni Spano sia Enrico Costa ricordano, nei loro scritti, la figura di Monsignor Luigi Sclavo non solo come prelato insigne dell’Arcidiocesi di Sassari ma come grande collezionista di reperti archeologici. Egli fu, nella Sassari d’intorno al 1870, uno dei maggiori collezionisti, posto alla pari con Giovanni Antonio Sanna (che a sua volta acquistò la sua collezione pressoché già formata da un altro, ma questo sarà un altro Memento). Luigi Sclavo nacque in Piemonte, a Lesegno, il 6 maggio 1815 e giunse a Sassari, come segretario personale, al seguito di Monsignor Varesini quando questi fu nominato Arcivescovo turritano, il 13 settembre 1838. Sclavo ebbe Giovanni Spano come caro amico, insieme a vari altri prelati e laici impegnati nell’ambito culturale, sardo e italiano. Morì a Sassari il 9 gennaio 1880 e la sua eredità, compresa la collezione archeologica che occupava tre camere della sua abitazione, passò al nipote, l’Avvocato Vittorio Aperlo Sclavo, nato a Lesegno il 2 settembre 1851 e trasferitosi a Sassari, rimasto orfano, dove lo zio monsignore gli fece da padre.

Purtroppo, tra fine Ottocento, malgrado l’affetto filiale dimostrato allo zio anche dopo la morte, con l’apposizione del bel monumento funebre nella cappella annessa all’edificio principale della tenuta della Crucca (in foto), l’Avvocato Aperlo dovette mettere in vendita la collezione ed essa fu venduta, dopo il rifiuto dello Stato italiano all’offerta d’acquisto, a degli inglesi che la dispersero facendo vendita dei singoli pezzi. In futuro, leggendo che in qualche museo o collezione anglo-americana è esposto un bronzetto o una ceramica nuragici, o un pezzo di gigante di Monti Prama pensate che, forse che forse, non è colpa di un tombarolo d’oggi o d’ieri ma di chi, a livello istituzionale cento e passa anni fa, non fece nulla perché la Collezione Sclavo rimanesse in città e divenisse pubblica.

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