La Nuova Sardegna

Sassari

Fiume Santo, senza risorse nuovi rischi

di Gianni Bazzoni

Le segreterie provinciali di Cgil, Cisl e Uil chiamano in causa la Regione: «Dica quale strategia urgente intende adottare»

09 maggio 2015
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SASSARI. Investimenti mancati e rischi ambientali, così il polo energetico di Fiume Santo si avvia verso un progressivo declino, in una condizione di incertezza che può mettere a rischio il sistema energetico sardo, con ripercussioni significative anche su quello nazionale.

Finora - anche dopo l’intervento della magistratura, con l’inchiesta che ha portato all’esecuzione di alcune misure cautelari - la situazione è stata fortemente sottovalutata a livello istituzionale. E solo ora le segreterie confederali di Cgil, Cisl e Uil hanno deciso di uscire allo scoperto, con una posizione che riapre il confronto sul futuro di Fiume Santo tra ambiente, industria e occupazione.

Una risorsa. I tre segretari provinciali Antonio Rudas, Gavino Carta e Giuseppe Macioccu, hanno affermato che «il sito di Fiume Santo, per le finalità cui è destinato, rappresenta una risorsa irrinunciabile che appartiene alla collettività piuttosto che a singoli portatori di interesse, siano essi proprietà o chiunque altro.

Primato dell’ambiente. Le segreterie di Cgil, Cisl e Uil richiamano il primato dell’ambiente e della salute pubblica, insieme al fatto che ogni intrapresa imprenditoriale e industriale debba essere obbligatoriamente subordinata a tali principi.

Fiducia nei magistrati. Massima fiducia nell’operato della magistratura e piena collaborazione. Questo l’orientamento dei rappresentanti dei lavoratori, con la certezza che l’autorità inquirente saprà tenere nella giusta considerazione il profilo di pubblica utilità e il valore sociale dell’attività industriale svolta nel sito. Spetterà, in ultima analisi, ai tribunali l’accertamento dei reati, delle responsabilità e l’adozione dei provvedimenti».

Attacco a E.On. Cgil, Cisl e Uil puntano il dito contro la multinazionale tedesca, alla quale attribuiscono la pesante responsabilità per non avere dato corso agli investimenti sul quinto gruppo a carbone, che avrebbe dovuto sostituire l’1 e 2 a olio combustibile e al cui esercizio sono collegati i reati ambientali contestati, a causa - secondo l’accusa - di un inquinamento di falda profondo alla base dei serbatoi di olio combustibile destinato ai due vecchi gruppi».

Gli investimenti. La politica di forte contenimento degli investimenti operata da E.On nel corso degli ultimi anni - secondo i tre segretari provinciali di Cgil, Cisl e Uil - «ha certamente massimizzato i profitti per la multinazionale, ma dall’altra parte ha provocato una accelerazione nel processo di invecchiamento degli impianti. E la limitazione degli interventi di manutenzione ha determinato ripetute rotture di parti dell’impianto nel sito di produzione».

Futuro a rischio. Per le organizzazioni sindacali confederali, la politica aziendale sviluppata da E.On non ha solo pregiudicato la costruzione del quinto gruppo, ma di fatto «sta seriamente mettendo a rischio il futuro produttivo anche dei gruppi 3 e 4 a carbone, i quali necessitano di investimenti urgenti per mantenere produttività e continuità di funzionamento, nel rispetto della normativa ambientale vigente».

La nuova proprietà. I sindacati guardano ai nuovi proprietari della centrale (la società Eph, ndc) e non più a E.On «che di fatto ha perso ogni credibilità sia sul piano esterno che all’interno della stessa realtà aziendale». A chi sta definendo l’acquisto della centrale di Fiume Santo, Cgil, Cil e Uil chiedono «un nuovo approccio che, partendo dall’esistente, sappia concorrere con le istituzioni e i sindacati, a consolidare il futuro del sito di produzione».

La Regione. Rudas, Carta e Macioccu chiedono alla giunta regionale di battere un colpo, «di chiarire la strategia che intende portare avanti per il polo energetico di Fiume Santo». L’idea che si possa rinunciare a tutto, senza chiarire con quali alternative, non può essere una strada credibile.

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