La Nuova Sardegna

Sassari

Il pm: «Per Manca 30 anni, 24 a Faedda»

di Gianni Bazzoni
Il pm: «Per Manca 30 anni, 24 a Faedda»

Nella requisitoria Gilberto Ganassi ha indicato un ruolo fondamentale dei due imputati nel rapimento dell’allevatore

31 ottobre 2015
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SASSARI. Due processi diversi tra loro: il primo costruito attorno a un arresto in flagranza di reato, subito dopo la fuga dell’ostaggio sottoposto a 8 mesi e nove giorni di bestiale prigionia. Il secondo frutto di un lavoro enorme che ha messo insieme una montagna di indizi valutati uno per uno e inseriti dentro una cornice che tiene tutto insieme. Per il pubblico ministero Gilberto Ganassi, però, non ci sono differenze sostanziali e a conclusione di una requisitoria durata quasi sei ore ieri - poco prima delle 17.30 - ha chiesto la condanna a 30 anni di reclusione per Giovanni Maria “Mimmiu” Manca, 53 anni, nuorese ma da tempo residente a Bonorva: la stessa applicata (e già divenuta definitva) per Salvatore Atzas. Una pena leggermente più lieve - 24 anni - , invece, è stata proposta per Antonio Faedda, 44, originario di Grosseto ma da tempo residente a Giave.

Matrice bonorvese. Secondo il procuratore aggiunto della Dda di Cagliari, i due imputati hanno avuto un ruolo non secondario nel sequestro dell’allevatore di Bonorva Titti Pinna e, in particolare, “Mimmiu” Manca - secondo l’accusa - sarebbe stato «tra coloro che hanno ideato e gestito il rapimento che ha una matrice bonorvese certa». Nelle sue conclusioni, il pm - rivolto alla corte presieduta da Pietro Fanile, a latere Teresa Castagna - ha affermato che «Manca era alla guida del Renault Kango che ha trasportato l’ostaggio, mentre Faedda si trovava a bordo dell’altra auto che ha fatto da apripista». A Giovanni Maria Manca l’accusa ha attribuito «uno spessore superiore a quello di Faedda, in virtù delle conoscenze, dei contatti, delle frequentazioni» e di quell’asse che collega Sedilo con Bonorva e - nelle valutazioni del pm - le famiglie Atzas-Sanna (di Macomer, Francesca la donna della banda già condannata a Cagliari a 11 anni di reclusione con rito abbreviato) e Manca.

Gruppo di prelievo. Per il pubblico ministero, Giovanni Maria Manca e Antonio Faedda non c’erano nel gruppo di prelievo perché avevano altri incarichi. Dei tre che hanno prelevato Titti Pinna il pomeriggio del 19 settembre 2006 nell’azienda di “Monti Frusciu”, «due erano sicuramente arrivati da fuori, mentre il terzo, rimasto in disparte, poteva anche essere della zona». Uno imbracciava il vecchio fucile (perfettamente funzionante) di Salvatore Atzas. L’arma era stata poi ritrovata durante la perquisizione del covo-prigione di “Su Padru” a Sedilo.

Caccia aperta. «C’è uno spazio investigativo aperto – ha detto Ganassi – e questa indagine non finirà finchè non saranno presi quelli che ancora mancano all’appello». Si profila, dunque, un nuovo filone di indagine che potrebbe già essere cominciato con le contestazioni formali mosse a Giovanni “Fracassu” Sanna, fratello di Francesca, in carcere per una rapina commessa a Sassari.

Padre Pinuccio. Nella requisitoria di ieri, il pm ha dedicato uno spazio importante anche a padre Pinuccio Solinas, il religioso comparso nelle trattative di altri sequestri di persona in Sardegna e che si sarebbe messo a disposizione per cercare di favorire la liberazione di Titti Pinna.

Per il frate, il magistrato ha rimesso gli atti alla valutazione del collegio giudicante, affinchè verifichi la sussistenza del reato di falsa testimonianza. Il riferimento specifico è ai colloqui del religioso con il capitano dei carabinieri Alfonso Musumeci (che erano stati tutti registrati) nel corso dei quali aveva indicato “Mimmiu” Manca come la persona che lo aveva contattato per andare all’incontro con i banditi al passaggio a livello di Mulargia (dove poi era stata intercettata Francesca Sanna a bordo della propria auto). «Non aggiungo una parola di più», ha detto Ganassi riferendosi a padre Solinas. Anzi, ha solo ricordato il faccia a faccia in aula tra il capitano Musumeci e il frate di Bonorva che si era concluso con quella frase del militare: «Io posso giurarlo di fronte a Dio, tu non lo so».

Gli elementi forti. L’accusa ha battuto molto sugli «elementi forti»: la telefonata fatta da “Mimmiu” Manca, il pomeriggio del 19 settembre 2006, poco prima del sequestro, utilizzando il telefonino di Carlo Cocco (un «compagno di merende da prendere con le pinze» che si è trasformato in un testimone chiave dell’inchiesta-bis). La chiamata era stata fatta ad Antonio Faedda per pronunciare quella frase «Calados che sunu» (Sono arrivati). Per l’accusa quello è il segnale che il gruppo di prelievo è pronto e che, quindi, anche Faedda può cominciare a muoversi. Poi i percorsi «indicati» dai tracciati telefonici e dalle celle, con gli spostamenti simmetrici dei due imputati: prima verso sud e poi verso nord.

E ancora: il Kango dell’azienda Piredda, per la quale Manca lavorava, che il giorno del rapimento è nella disponibilità dell’imputato che (altra anomalia indicata dall’accusa) non si trova in cantiere a Nuoro ma è a Bonorva. Il veicolo è compatibile con la descrizione fatta dall’ostaggio (diesel, cinque porte, portellone che si chiude dall’alto). Lo stesso mezzo era stato poi riportato in serata a Nulvi da Manca che si era fatto andare a prendere da un nipote e poi avrebbe cercato - a più riprese - di inquinare le prove, anche attraverso minacce nei confronti dei testimoni. Ricordato dal pm, anche l’incontro di Giovanni Maria Manca con Gianni Nieddu, il giovane di Sedilo ucciso nel 2013 nella zona industriale di Macomer. Frammenti di una intercettazione tra i due evidenziano la preoccupazione per le dichiarazioni rese dal testimone Carlo Cocco: «Ma quando mai gli prendi il telefonino – dice Nieddu a Manca – adesso questo matto parla e noi ne piangiamo tutti...».

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