La Nuova Sardegna

Sassari

Cedi Sardegna, una crisi inarrestabile

di Luigi Soriga

Nel 2012 era la quarta azienda per fatturati nell’isola, poi il calo dei consumi, la stretta creditizia e le scelte sbagliate

16 gennaio 2016
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SASSARI. Una voragine da 65 milioni di euro aperta in pochi anni. È inquietante come una crisi così rapida e devastante abbia messo in ginocchio un colosso come Cedi Sisa, che solo nel 2012 nella classifica regionale per fatturato delle imprese ricopriva il 14° posto. E che in base ai dati Nielsen del 2014 si posizionava al decimo posto in Italia per fatturato rispetto alla grande distribuzione. Dopodiché licenziamenti, lo spettro del fallimento e il concordato preventivo. Anche i commissari che curano la fase di liquidazione aziendale non hanno ben chiaro come tutto questo sia potuto accadere. La ricostruzione prodotta dalla Cedi Sardegna è piuttosto evanescente: «I passaggi della crisi – hanno detto in tribunale i commissari – vanno sicuramente approfonditi».

Storia di una crisi. A grandi linee è accaduto questo. Il centro di distribuzione di Codrongianos è nato nel 1995, mentre la Cedi Sardegna è diventata una società per azioni nel 2012 con un capitale di 2 milioni di euro. Cominciano le fusioni e le partecipazioni: Mercurio srl e Fincedi Sardegna, che diventano comproprietarie di Codrongianos. E poi Fincedi Ermes, Side srl, Medite srl e quindi un lungo elenco di marchi di supermercati sparsi per il territorio: Delta, Cobec, Turris market, Sisa, Ruda market, giusto per citarne alcuni. Una struttura societaria del genere naturalmente fa sì che le difficoltà dei soci si riversino a cascata sul centro di distribuzione e sulla struttura portante del sistema.

Carrelli vuoti. La prima spallata arriva con il calo del potere di acquisto delle famiglie, che (dati Istat) nel quinquennio 2008-2013 si è attestato al - 7,3%. Le ricadute negative arrivano presto anche alla grande distribuzione. Dove per la prima volta dal dopoguerra si è registrata una riduzione dei consumi alimentari. I carrelli pieni negli Ipermercati non sono più una costante. Si fa una spesa più attenta, con meno scorte in casa e scontrini medi più ridotti. In questo terreno attecchiscono le così dette category killer, cioé le catene specializzate ad esempio in prodotti per la casa, e anche i grandi discount.

Stretta delle banche. Al calo dei consumi si è aggiunta la crisi bancaria e del credito con la sua stretta sul finanziamento alle imprese. Molte aziende della distribuzione, per far fronte a questo scenario, hanno diminuito i costi, riducendo il personale e chiudendo fisicamente gli esercizi in perdita. Arrivano anche i contratti precari e a tempo determinato al fine di ridurre il costo della mano d’opera. Ma sono palliativi che non arrestano la crisi: calano le vendite al dettaglio, i ricavi si riducono, ma i costi non si contraggono e non compensano le altre perdite. Molti punti vendita di Cedi Sardegna vanno in default, e la struttura finanziaria e il capitale circolante ne risente.

Regole più severe. In più cambiano le regole di mercato: i tempi di pagamento ai fornitori si accorciano per legge, comincia la stretta creditizia da parte delle banche e l’accesso al credito diventa problematico. Questi passaggi mettono in seria difficoltà la grande distribuzione, che finanziava i propri investimenti vendendo i prodotti e incassando con largo anticipo rispetto al tempo in cui effettuava i pagamenti sulla merce acquistata. Perciò al finanziamento commerciale si sostituisce quello bancario, molto più oneroso e complicato. La crisi si abbatte quindi sul perno del sistema: il Centro di Distribuzione.

I debiti. Già nell’ottobre del 2010 il collegio sindacale rilevava una situazione debitoria preoccupante, con uno scaduto verso i fornitori di 24 milioni e di contro un pari importo di crediti incagliati. Partono i giudizi arbitrali nei confronti dei soci morosi, i piani di rientro con i clienti in difficoltà. Ma tutto si concretizza principalmente in acquisizioni di partecipazioni, punti vendita, immobili. Insomma ben poche trasfusioni di capitale “fresco”. E con tali premesse il risultato non può essere che uno solo: gli indici di liquidità, il margine di struttura e di tesoreria, i giorni di incasso e pagamento, il grado di capitalizzazione, delineavano lo scenario di un’azienda in crisi, probabilmente irreversibile. Vengono tagliati numerosi soci, ma anche i ricavi di Codrongianos così si ridimensionano. Ma non i costi fissi.

Spirale irreversibile. Tutto ricade sulle spalle dei soci “virtuosi”, costretti a sostenere le diseconomie attraverso costi di fornitura ormai giunti a livelli insostenibili. La spirale pian piano diventa sempre più perversa: peggiora il rating di Cedi Sardegna con le banche e le assicurazioni, i grandi marchi alimentari e di largo consumo cominciano a tirarsi indietro, gli scaffali spesso restano sguarniti, e i soci rimasti devono approvvigionarsi su mercati paralleli (grossisti) di certo meno competitivi. Il ciclo finanziario diveniva quindi del tutto insostenibile quando anche le banche decidono di non concedere più risorse, dato che il business plan non era giudicato più affidabile. Anche il tentativo di partnership prima con Despar e poi con Sigma non danno i risultati sperati, e i mercati nazionali non vengono didatti aggrediti. I creditori diventano un esercito, e l’unica soluzione per non perdere tutto diventa il concordato.©RIPRODUZIONE RISERVATA

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