La Nuova Sardegna

Sassari

Se un fratello rifiuta per il bene dell’altro

Se un fratello rifiuta per il bene dell’altro

La rinuncia abdicativa della quota di comproprietà è ammessa in giurisprudenza. Ma la banca a volte non concede il mutuo

25 maggio 2016
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Siamo due fratelli, proprietari di un appartamento al 50 per cento ciascuno. Uno di noi vuole effettuare una rinuncia abdicativa della propria quota che andrà ad accrescere la quota dell’altro fratello, che diventerebbe unico proprietario dell’appartamento. Vorremmo sapere se, in caso di vendita successiva dell’immobile, la rinuncia abdicativa può essere di impedimento per la concessione di un mutuo per l’eventuale acquirente.

La rinuncia abdicativa della quota di comproprietà, ammessa in dottrina e giurisprudenza e prevista in alcune norme del codice civile (art. 1104, art. 882, comma 2), determina l'effetto della dismissione del diritto e della liberazione dalle obbligazioni relative al bene.

Con riferimento alla natura giuridica della rinunzia in esame, la dottrina prevalente afferma che si tratta di un negozio unilaterale che non necessita dell’accettazione da parte degli altri comproprietari. L’effetto di accrescimento della quota a favore degli altri condividenti è una conseguenza solo mediata e riflessa della rinunzia, connessa alla natura della comunione, come tale non richiedente un atto di accettazione. Si è anche affermato che la volontà dismissiva deve essere manifestata in modo non equivoco, non essendo sufficiente un generico disinteresse rispetto alla cosa comune. Qualche dubbio si è posto, invece, con riferimento alla recettizietà della rinunzia liberatoria. Qualche autore ha sostenuto, coerentemente con quanto la dottrina prevalente afferma in tema di rinunzia abdicativa, che l’atto in esame non dovrebbe essere recettizio, in quanto l’accrescimento è istantaneo.

L’automatismo dell’accrescimento renderebbe superflua la conoscenza dell’atto da parte degli altri comproprietari. La dottrina prevalente sostiene che l’efficacia accrescitiva automatica implica la non necessità di accettazione e non già la superfluità della notificazione ai restanti comproprietari. La conoscenza di questi ultimi della intervenuta rinunzia, e della conseguenza variazione delle quote, sarebbe necessaria per prendere atto dell’intervenuta modifica e, soprattutto, perché ad essa consegue la liberazione dall’obbligo di contribuzione alla spese comuni in favore del rinunziante; effetto che incide in misura negativa nei loro confronti. A seguito della rinunzia, in altri termini, gli altri condividenti si ritrovano non solo ad essere titolari di una quota di comproprietà accresciuta, ma anche gravati da un’obbligazione di pagamento delle spese in misura conseguentemente maggiore rispetto a prima. Da ciò la necessità che l’atto di rinunzia gli sia portato a conoscenza e dunque la recettizietà dello stesso.

A seguito di tale ricostruzione si discute anche sulla natura onerosa o gratuita dell’atto di rinuncia, ma generalmente gli atti di rinuncia vengano inquadrati tra le liberalità indirette e come tali, a date condizioni, soggette alle norme sulle liberalità dirette (art. 809) ed in particolare a quelle sulla riduzione delle donazioni per integrare la quota dovuta ai legittimari.

Alla luce di tale ragionamento alcuni istituti di credito non consentono l’accesso al credito in tali ipotesi, fermo restando che si dovrà valutare caso per caso.

Ufficio studi del Consiglio notarile dei distretti riuniti di Sassari, Nuoro e Tempio Pausania

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