La Nuova Sardegna

Sassari

Omicidio Erittu, il pg chiede tre ergastoli

di Nadia Cossu
Omicidio Erittu, il pg chiede tre ergastoli

La Procura generale: «Non si suicidò, fu ammazzato». Gli imputati (cinque in tutto) in primo grado erano stati assolti

19 novembre 2016
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SASSARI. Un’ora e mezza per provare a ribaltare la sentenza di primo grado che aveva assolto tre dei cinque imputati dall’accusa di omicidio. Tre ergastoli era stata, il 23 giugno del 2014, la richiesta di condanna del sostituto procuratore della Repubblica Giovanni Porcheddu. E tre ergastoli è stata, ieri, la richiesta fotocopia del procuratore generale Gian Carlo Moi che arriva a nove anni esatti dalla morte del detenuto Marco Erittu, trovato senza vita nella sua cella di San Sebastiano il 18 novembre del 2007.

Il processo d’appello. «Il detenuto Marco Erittu non si è suicidato, è stato ucciso». Forti di questa convinzione i pubblici ministeri Sergio De Nicola e Gian Carlo Moi – rispettivamente sostituti procuratori della Procura generale nella sezione distaccata di Sassari e alla corte d’appello di Cagliari – avevano presentato appello contro la sentenza della corte d’assise di Sassari con la quale erano stati assolti dall’omicidio in concorso (per non aver commesso il fatto) gli imputati Giuseppe Vandi, Nicolino Pinna e Mario Sanna e dall’accusa di favoreggiamento (sempre in relazione all’omicidio Erittu) gli altri due imputati Giuseppe Sotgiu e Gianfranco Faedda. Il pm Giovanni Porcheddu aveva chiesto l’ergastolo per i primi tre e una condanna a quattro anni per gli altri due.

Ieri, davanti alla corte d’assise d’appello presieduta da Plinia Azzena (a latere l’altro giudice togato Marina Capitta e i sei giudici popolari), il procuratore generale Moi ha ricostruito e ripercorso le tappe del processo di primo grado: perizie, testimonianze, comparazioni scientifiche e al termine della sua discussione ha chiesto alla corte di condannare i tre imputati principali all’ergastolo e Faedda e Sotgiu a un anno e sei mesi. E ha poi sollecitato, come già scritto nell’atto d’appello, di «disporre la parziale rinnovazione del dibattimento mediante l’espletamento di un’altra perizia medico legale sulla causa della morte e un accertamento tecnico sulla striscia di coperta in sequestro per la ricerca di tracce biologiche e l’estrazione del Dna per l’attribuzione alla vittima».

La storia. Si sta parlando del caso Erittu, il detenuto trovato morto nella sua cella dell’ex carcere di San Sebastiano. Caso inizialmente archiviato come suicidio e poi riaperto in seguito alle dichiarazioni del pentito Giuseppe Bigella che si era autoaccusato del delitto (è stato giudicato e condannato separatamente) chiamando in correità gli altri imputati. La corte d’assise aveva assolto tutti spiegano nelle motivazioni che l’istruttoria dibattimentale non aveva consentito «di acquisire, oltre alle dichiarazioni auto ed etero accusatorie di Bigella, elementi idonei dotati di un minimo di certezza tali da far ragionevolmente ritenere che la morte di Erittu sia da ricondurre a un omicidio piuttosto che a un suicidio, così come concluso nelle prime indagini del 2007». I giudici si soffermavano sulla causa della morte e sulle «diverse e contrastanti opinioni dei consulenti» di accusa e difesa «che hanno un limite in comune: hanno effettuato le loro valutazioni sulla base del corredo fotografico effettuato in sede di autopsia». Non avrebbero cioè osservato direttamente il corpo della vittima.

I dubbi della Procura generale. «Si parla di un detenuto rinchiuso in una cella liscia (singola e priva di suppellettili) che poche ore dopo è stato rinvenuto privo di vita per una causa mortis pacificamente non naturale (asfissia meccanica primitiva violenta) e che presentava al collo una striscia di coperta non agganciata ad alcun appiglio fisso (ma semplicemente poggiata all’asta della spalliera del letto) e che il dibattimento ha accertato non provenire dalle coperte presenti in cella». Circostanze, queste, che «escludono in radice la possibilità che sia stato il detenuto a “costruirla” e a usarla contro di sè (e quindi il fatto stesso del suicidio) e rendono palese la natura omicidiaria dell’evento, in piena conformità con le dichiarazioni di Bigella che ha confessato di aver personalmente ucciso Erittu su mandato di Giuseppe Vandi oltre che con la collaborazione di Nicolino Pinna al quale spettava il compito di simulare un suicidio) e del poliziotto penitenziario Mario Sanna (che ha reso possibile l’ingresso in cella)».

Critiche al perito Avato. Forte, poi, la contestazione di Moi alle conclusioni cui arrivò il perito Francesco Maria Avato (che non aveva escluso l’ipotesi del suicidio) e in particolare le sue valutazioni sulla striscia di coperta: «La logica di Avato segue regole proprie ed è distante dalla regola che vige in ogni processo: quella che ritiene imprescindibile basarsi essenzialmente sui (veri) dati circostanziali che caratterizzano il caso concreto e la scena del crimine».

La difesa. Confermati gli avvocati difensori: Agostinangelo Marras e Mattia Doneddu per Sanna, Pasqualino Federici e Patrizio Rovelli per Vandi, Luca Sciaccaluga per Pinna, Gabriele Satta per Sotgiu e Giulio Fais per Faedda. E poi i legali di parte civile Nicola Satta, Marco Costa e Lorenzo Galisai. Il processo riprenderà il 2 dicembre.

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