La Nuova Sardegna

Sassari

Donne schiave, il pm della Dda chiede 180 anni di carcere

di Nadia Cossu
Donne schiave, il pm della Dda chiede 180 anni di carcere

Undici imputati di associazione finalizzata a traffico di esseri umani e sfruttamento della prostituzione La requisitoria di Paolo De Angelis: giovani nigeriane come fantasmi clandestini, in balìa dei carnefici

06 dicembre 2016
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SASSARI. «Donne come fantasmi clandestini privi di identità, in balìa dei loro carnefici, proprietà dei padroni che le acquistavano fino a ridurle a una condizione di schiavitù fisica e psicologica».

Sono parole pesanti come macigni quelle pronunciate dal pubblico ministero della Dda di Cagliari, Paolo De Angelis, che ieri ha concluso la requisitoria nel processo scaturito dall’operazione “Terra Promessa” sul racket della prostituzione tra Sassari e la Gallura.

Parole necessarie perché i giudici della corte d’assise potessero avere piena coscienza del dramma personale vissuto dalle donne vittime di uomini senza scrupoli disposti a venderle al miglior offerente. La richiesta di condanna per gli undici imputati (assistiti dagli avvocati Nicola Lucchi, Carlo Pinna Parpaglia, Maurizio Serra e Salvatore Castronuovo) è esemplare: 180 anni complessivi di reclusione con pene individuali che vanno da un massimo di 18 anni a un minimo di 11. Ha ricostruito, De Angelis, con grande scrupolo i dialoghi drammatici delle donne nigeriane «che da soli bastano a considerare colpevoli gli imputati oltre ogni ragionevole dubbio».

Diciassette in tutto le persone che nel 2006 furono arrestate dai carabinieri con l’accusa di associazione per delinquere finalizzata al traffico di esseri umani, riduzione in schiavitù, induzione, sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione. Il pm della Dda ha illustrato alla corte presieduta da Plinia Azzena (a latere il giudice togato Antonello Spano e i popolari) la fitta rete di rapporti che legava gli imputati attraverso una mappatura dei diversi paesi europei nei quali i presunti sfruttatori si spostavano. La donna che per prima nel 2006 denunciò ai carabinieri il racket della prostituzione – di cui purtroppo era rimasta vittima – studiava Economia all’Università di Delta State, in Nigeria. Lo ha fatto fino a quando non è caduta, suo malgrado, nella trappola di un’associazione per delinquere che le ha sconvolto la vita. La 29enne nigeriana a un certo punto aveva avuto la fortuna di incontrare un uomo perbene del quale si era innamorata e alla fine – come nella trama di Pretty Woman – l’aveva salvata convincendola a denunciare tutto ai carabinieri di Olbia.

De Angelis nella sua discussione si è soffermato sulla riduzione in schiavitù spiegando che – uscendo dalla concezione più classica e antica delle catene – questa tipologia di reato comprende una condizione di soggezione continuativa sia in senso fisico che psicologico. «Un asservimento della vittima sotto il potere del padrone, la donna proprietà di chi l’ha acquistata, importata e messa sul marciapiede a produrre soldi». Di questo viveva il regime associativo fatto di esportatori e importatrici, con una cupola e vari componenti ai quali veniva affidato un ruolo ben definito.

Il 30 gennaio la parola passa al primo degli avvocati difensori: Salvatore Castronuovo.

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