La Nuova Sardegna

Sassari

Sassari, la valle dei Ciclamini ribolle di fumi cancerogeni

di Giovanni Bua
Sassari, la valle dei Ciclamini ribolle di fumi cancerogeni

Non si blocca l’incendio sotterraneo di rifiuti a Calancoi in una ex discarica messa sotto sequestro dalla magistratura

29 dicembre 2016
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SASSARI. Il fumo tossico che sale, ogni mattina da oltre un mese, dal terreno che ribolle nella pancia della valle dei Ciclamini. In un terreno di quasi sei ettari che per decenni è stato discarica, prima comunale e poi privata, ufficialmente chiusa dal 2003 e sotto sequestro giudiziario dallo scorso 8 dicembre.

Un’ordinanza del sindaco, emanata ieri, che intima a Sandro Renna, ad della società Ecologica R2, di mettere in sicurezza il terreno, previo dissequestro da parte dell’autorità giudiziaria, e poi di bonificarlo. Un’inchiesta in corso che ipotizza che lo stesso Renna, proprietario insieme ai tre fratelli del terreno, abbia portato avanti abusivamente l’attività di discarica oltre il 2003.

E, soprattutto, un’analisi fatta dagli esperti nominati dopo il sequestro che certificano che nei fumi ci sono idrocarburi policiclici aromatici e diossina: sostanze tossiche, cancerogene e fortemente inquinanti, che potrebbero irrimediabilmente attaccare anche le falde acquifere sottostanti, oltre che essere un grave pericolo per i residenti delle villette intorno, spaventati dal fumo fetente e minaccioso che ogni mattina si alza dalla valle.

Ribolle come la terra di Calancoi l’inchiesta messa in piedi dalla polizia municipale, guidata dal comandate Gianni Serra, nei primi giorni di dicembre. Due sopralluoghi, il 6 e l’8. Durante i quali trovano, oltre al terreno che cuoce a 80 gradi e il fumo che si alza, due camion che scaricano materiale. Un tentativo, concordato con i vigili del fuoco, di spegnere le fiamme innescate da un incendio di pochi giorni prima, spiega Sandro Renna, uno dei proprietari del terreno. Con Serra che vuol vederci chiaro e, esaminate bolle e materiale, gira tutto alla magistratura.

Un’inchiesta parallela che farà il suo corso, con Renna che sventola foto satellitari che dimostrerebbero la rivegetazione dell’area, e la responsabile del servizio Verde pubblico del settore Ambiente del Comune che parla invece di «attività che hanno interrotto il processo di rivegetazione che nel 2010 era completato».

Un filone che comunque poco ha a che vedere con la bomba ecologica che scalda le viscere della terra. Frutto di decine di anni di “lavoro”, gestite dal padre di Sandro Renna, Gino. Prima per il Comune, poi privatamente, fino al 2003, quando la discarica chiude e gli affari di famiglia si trasferiscono poco lontano, verso Osilo, dove la Ecologica R2, che a Lu Pinu conserva solo la sede legale, lavora.

Decenni in cui in discarica, e in tutte le discariche compresa la confinante Calancoi, arrivava di tutto. Amianto, gomme, olii, plastica. Decine di migliaia di tonnellate stivate nelle vecchie cave, che sono cresciute come spettrali montagne intorno alla valle dei ciclamini.

Materiale, che per Giuseppe Porcheddu, biologo, nominato della polizia municipale con funzioni di autorità giudiziaria, ora brucia a Lu Pinu, sviluppando Ipa e disossine, cancerogene e inquinanti. Problema che, per i tecnici della Provincia, che chiedono l’intervento dell’Arpas, potrà essere risolto solo con «la rimozione del materiale all’origine delle emissioni».

Quel che è certo è che il terreno per ora è sotto sequestro giudiziario, con il pm Mario Leo che già oggi potrebbe nominare un consulente tecnico che “fotografi” la situazione attuale e dia poi il via libera al “soffocamento” del fuoco da fare ricoprendo l’area con materiale inerte. Per la bonifica la partita sarà ben più complessa, e costosa. Ed è poco credibile ipotizzare che a farsene carico siano gli eredi Renna, proprietari del terreno.

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