La Nuova Sardegna

Sassari

Bimbo tetraplegico dopo il parto, in aula la difesa del medico

di Nadia Cossu
Bimbo tetraplegico dopo il parto, in aula la difesa del medico

Ginecologo delle Cliniche imputato di lesioni gravissime «Nessun ritardo nel cesareo, ho rispettato le linee guida»

18 maggio 2017
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SASSARI. È stato sentito in aula davanti al collegio presieduto da Maria Teresa Lupinu (a latere Sergio De Luca e Vittoria Sechi) Pierpaolo Chiappe, il ginecologo di 48 anni in servizio alle cliniche universitarie finito a processo per lesioni gravissime e omissione di atti d’ufficio. Ha voluto spiegare con precisione ciò che accadde quel giorno di maggio del 2012, sottolineando che la sua ricostruzione dei fatti «è perfettamente riscontrabile nelle cartelle cliniche». I giudici dovranno stabilire se il medico sia responsabile o meno della tetraparesi di cui soffre, fin dalla nascita, un bambino di 5 anni dell’hinterland di Sassari.

Per il pubblico ministero Giovanni Porcheddu (e sulla stessa linea sono anche gli avvocati di parte civile Lisa Udassi e Marco Manca) «a causa del ritardo con il quale si dava corso al taglio cesareo, l’imputato cagionava al neonato lesioni gravissime consistite in una malattia certamente o probabilmente insanabile consistente in un danno neurologico irreversibile per l’assenza prolungata di ossigeno».

Chiappe (difeso dall’avvocato Sebastiano Chironi) ha raccontato in tribunale la sua versione dei fatti ripercorrendo in particolare tutto ciò che accadde in clinica dall’inizio del turno (alle 20.30) sino a mezzanotte e mezza, ora in cui era stato fatto il cesareo. Al ginecologo è stato contestato l’omesso monitoraggio delle condizioni del bambino in un lasso di tempo di 15/20 minuti proprio all’atto del trasferimento della partoriente dalla sala parto alla sala operatoria e di aver poi ritardato il taglio cesareo. Chiappe ha contestato le tempistiche della sera e con i riscontri ricavabili dalla cartella clinica ha precisato che non ci fosse niente che motivasse un cesareo urgente dato che il taglio era giustificato solo dalla mancata progressione del feto. Il medico ha negato che ci sia stato il ricorso alla ventosa e sono stati gli stessi neonatologi sentiti in aula a sostenere che il piccolo non presentava segni diretti o indiretti causati da un utilizzo di ventosa. Il ginecologo ha ripetuto più volte di aver «rispettato le linee guida» e che il suo operato sia stato «di costante controllo e di contrasto a una sopraggiunta emorragia che se non tempestivamente risolta avrebbe potuto portare a conseguenze serie per la madre.

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