La Nuova Sardegna

Sassari

la storia di oscar 

«Nel vecchio casolare invaso dai topi ho scoperto l’amicizia»

«Nel vecchio casolare invaso dai topi ho scoperto l’amicizia»

SASSARI. Un vecchio casolare diroccato a pochi metri da via Amendola, invaso dai topi e dalle erbacce, dove lo sguardo della città - che pure è lì a due passi - non arriva. È qui, accanto alla...

23 settembre 2018
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SASSARI. Un vecchio casolare diroccato a pochi metri da via Amendola, invaso dai topi e dalle erbacce, dove lo sguardo della città - che pure è lì a due passi - non arriva.

È qui, accanto alla fontana delle Conce, che Oscar ha scelto di vivere insieme a un altro gruppo di “invisibili” che come lui non hanno niente, neanche un tetto sotto cui ripararsi.

Oscar ha 41 anni, è spagnolo e in passato ha fatto il cameriere, ma oggi dopo una disavventura con la giustizia italiana si ritrova per strada. Senza un soldo e senza un lavoro. «Ma in questa situazione di disagio - racconta in un buon italiano - ho scoperto il valore dell’amicizia. Prima di tutto quella che ho ricevuto dai volontari della Caritas - spiega nel salone del centro diurno di via Principessa Maria - e poi quella dei miei compagni di avventura, che ormai considero la mia famiglia».

La strada è dura, ma a volte - come nel caso di Oscar - ti fa riscoprire alcuni valori che nelle difficoltà riemergono e sono come un balsamo per il cuore. Qualche mese fa insieme ad altri quattro stranieri, anche loro seguiti dai centri diocesani della Caritas, Oscar ha ripulito un vecchio casolare abbandonato e lo ha trasformato nella sua casa. «Con delle vecchie casse di birra - spiega - abbiamo costruito delle pareti che ci consentono di avere ognuno un po’ di privacy. Abbiamo recuperato delle reti e dei materassi - aggiunge - e ora stiamo tutti abbastanza comodi, anche se dobbiamo stare attenti ai topi e tra un po’ dovremo difenderci dal freddo».

La mattina Oscar e gli altri abitanti del casolare trovano ospitalità nel centro diurno della Caritas. «Qui possiamo lavarci e fare colazione - racconta - ma soprattutto troviamo sempre tra i volontari qualcuno che si prende cura di noi anche dal punto di vista umano. Senza posti come questo - conclude - la città sarebbe piena di zombie».

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