La Nuova Sardegna

Sassari

Delitto Ara, scontro tra testimoni

di Nadia Cossu
Delitto Ara, scontro tra testimoni

L’omicidio di Ittireddu, in aula versioni contrapposte che potrebbero far vacillare l’alibi dell’imputato

09 ottobre 2018
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ITTIREDDU. Se una delle strategie difensive dovesse essere dimostrare che l’imputato Vincenzo Unali si trovava nella sua casa di Mores nell’ora in cui è stato ucciso Alessio Ara a Ittireddu, una testimone potrebbe far vacillare questo alibi. E un altro testimone, invece, potrebbe rimetterlo in piedi.

Il processo è quello che si sta celebrando davanti alla corte d’assise di Sassari presieduta da Massimo Zaniboni (a latere Giuseppe Grotteria e i giudici popolari) per il delitto di Ittireddu del 15 dicembre 2016. Alessio Ara, un operaio di 37 anni, era stato ucciso con due fucilate mentre stava per entrare a casa della madre (dove nell’ultimo periodo viveva anche lui), in via Alcide De Gasperi. Per quell’omicidio si trova rinchiuso in carcere Vincenzo Unali, 55enne di Mores. A casa dell’imputato la vittima aveva eseguito dei lavori di ristrutturazione in un appartamento al piano terra dove sarebbe dovuta andare ad abitare una figlia di Unali, insieme al suo compagno Costantino Saba. E proprio nell’ambito familiare gli inquirenti avrebbero inquadrato il movente del delitto. E cioè nella presunta relazione che la figlia dell’imputato avrebbe avuto con la vittima. «Una questione d’onore», in sostanza.

“Scontro” tra testi. «La sera del 15 dicembre del 2016 intorno alle 18 vidi Pietro Farina a Mores, siccome ci conosciamo e mi sembrò strano vederlo lì, lo fermai mentre passava in macchina vicino a casa mia e gli chiesi come mai si trovasse in zona. Mi rispose che era andato a cercare Costantino Saba a casa di Vincenzo Unali ma siccome non c’erano le macchine, né l’utilitaria di Saba né il camion di Unali, pensò non ci fosse nessuno e quindi andò via e rientrò a Ittireddu». Seduta sul banco dei testimoni Alessandra Salis, moglie di Gianluca Ara (cugino della vittima), fornisce un resoconto preciso e senza sbavature di quel pomeriggio di dicembre. Che, se confermato, potrebbe voler dire che Unali la sera del delitto non si trovava a casa sua, a Mores. Chi invece “stravolge” in qualche modo questa deposizione è il teste successivo: Farina, originario di Orune. «Sì, quel giorno ero a Mores, sono andato al supermercato – conferma rispondendo alle domande del pm Giovanni Porcheddu – Ma non ho assolutamente visto Alessandra Salis. Io alle 17.30 ero già a casa a Ittireddu, era ancora giorno». Dichiarazione che cozza con la versione della Salis. E per questo il presidente Zaniboni mette i due testi a confronto. La Salis ribadisce le sue certezze, Farina non smuove di una virgola la sua versione. Starà ai giudici valutare la credibilità delle due testimonianze.

Il fratello della vittima. Sul banco dei testimoni anche Gian Salvatore Ara, fratello di Alessio: «Sentii le urla di mia madre: “Disgraziato, cosa hai fatto?”. Fu lei a dirmi di aver visto la sagoma di una persona che dopo aver oltrepassato il cancello della nostra casa, ha svoltato a destra e si è allontanato. Mi disse che forse aveva anche gli stivali...».

Il Ris. Ieri è stato anche il giorno della deposizione del maresciallo del Ris di Roma che ha analizzato l’indumento ritrovato nella zona di via De Gasperi e che secondo l’accusa sarebbe stato usato per custodire il fucile e sarebbe stato perso dall’omicida durante la fuga. In quell’indumento è stato anche isolato il Dna dell’imputato. «Sono state trovate oltre 60 particelle di polvere da sparo all’interno e all’esterno» ha spiegato il teste. Per l’accusa un’ulteriore conferma del fatto che Unali quella sera avrebbe usato un suo pantalone per coprire l’arma del delitto. L’avvocato Pietro Diaz ha chiesto di ammettere come testimone un proprio consulente esperto in materia balistica.

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