La Nuova Sardegna

Sassari

Campo nomadi, arriva lo sfratto

di Vincenzo Garofalo

Sopralluogo del Comune: «Sgombero entro il 31 dicembre». Gli occupanti: «E noi dove andiamo?»

17 ottobre 2019
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SASSARI. Entro il 31 dicembre di quest’anno il campo nomadi di Piandanna sarà sgomberato e il Comune dovrà farsi carico di due urgenze: trovare casa alle famiglie rom che abitano fra baracche e montagne di rifiuti, e bonificare l’area all’ingresso della città, trasformata negli anni in una bomba ecologica che ha inquinato il terreno, fino alle sue viscere.

La chiusura del campo di sosta è confermata senza appello dall’assessore ai Servizi sociali di Palazzo Ducale, che ieri mattina ha partecipato al sopralluogo svolto a Piandanna dalla Quinta commissione comunale: «Entro la fine dell’anno il campo sarà sgomberato, chiuso e si inizierà la fase per le bonifiche del sito. Questa situazione non è più tollerabile. Le famiglie che vivono qui saranno ricollocate in sistemazioni adeguate e dignitose, abbiamo a disposizione 545mila euro di fondi regionali e li utilizzeremo per trovare la soluzione migliore. Purtroppo trovare un alloggio a queste famiglie non è facile, finora nessuno ha risposto agli avvisi con cui il Comune cercava abitazioni disponibili, da affittare ai rom che lasceranno il campo».

Il sopralluogo dei consiglieri comunali arriva dopo che la Polizia locale, la scorsa settimana, aveva fatto un blitz documentando le due facce della medaglia del campo rom: nella parte dell’area di sosta dove vive la comunità serbo ortodossa, regnano ordine, pulizia e casette fiorite e arredate; oltre la rete divisoria, dove vivono le famiglie della comunità bosniaca a prevalenza musulmana, baracche fatiscenti spuntano qua e là fra montagne di mondezza, carcasse d’auto e roulotte arrugginite. Alle due comunità l’assessore ha comunicato lo sfratto irrevocabile. E non tutti l’hanno presa bene. Per quattro famiglie bosniache la chiusura del campo di Piandanna non sarà un dramma, ma un’opportunità: hanno fatto richiesta di rimpatrio volontario e per loro il futuro è in Bosnia. Ma nel campo vivono 133 persone e i rimpatriati saranno al massimo una quarantina. «Io sono sassarese, miei figli sono nati qua. Noi non vogliamo restare a Sassari, avere una casa e un lavoro», dice Gianni, 24 anni, nato e cresciuto nelle baracche di Piandanna: «Abbiamo cercato di prendere una casa in affitto. Ne avevo trovato una per 500 euro. Sono andato a vederla con mio figlio ma il proprietario mi ha mandato via. Non affitto agli zingari, mi ha detto. E allora dosa dobbiamo fare? Stare in mezzo a una strada?». Anche Alì, padre di dodici figli, si sente sassarese a tutti gli effetti: «Sono qui da quaranta anni, miei figli sono sardi, vanno a scuola qua, dove dovremmo andare? Noi dal campo andiamo via, ma vorremmo una casa vera, pulita, e un lavoro per me. Adesso lavoro il ferro, cosa altro posso fare? Ci dovete aiutare». Superata la recinzione che separa bosniaci e serbi, la delusione e la sorpresa per la chiusura del campo è anche maggiore. Daigor ha 26 anni, anche lui è nato a Sassari, ha frequentato le scuole fino alla seconda classe dell’Alberghiero. Adesso lavora saltuariamente con una rivendita di auto. E quando l’assessore dice che a fine dicembre si sbaracca, quasi non crede alle sue orecchie: «Ci mandate via senza trovarci una sistemazione? E dove andiamo a vivere? Per strada?».

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