La Nuova Sardegna

Sassari

L'odissea di un paziente sassarese: «Ho una diastasi grave, ma nessuno mi opera»

di Giovanni Bua
L'odissea di un paziente sassarese: «Ho una diastasi grave, ma nessuno mi opera»

Domenico Cubeddu, operaio, soffre di forti dolori addominali, ma per i sanitari si tratta di un inestetismo

05 novembre 2019
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SASSARI. Troppo grave per essere operata in privato, con gli specialisti che alzano le mani, rinunciano a laute parcelle e indicano come unica soluzione i ferri di un chirurgo di Stato. Troppo lieve per essere presa in considerazione dal servizio sanitario nazionale, che derubrica il tutto a «semplice inestetismo» e rimanda a un qualunque “plastico” che abbia voglia di risolvere il problema. E, nel mezzo, Domenico Cubeddu, disinfestatore alla Multiss, 52 anni portati splendidamente e una passionaccia per la palestra, che da maggio convive con dolori lancinanti, un grande bozzo nell’addome e l’orrenda sensazione che le sue viscere se ne vadano a spasso. Ha una diastasi addominale: l’allontanamento progressivo dei due muscoli retti. Patologia ben nota alle donne che spesso ne soffrono dopo il parto cesareo ma che, anche se in maniera più rara e molto meno codificata, colpisce anche gli uomini.

E qui nasce il problema. La diastasi infatti è, nelle forme più leggere, un “inestetismo”. Ma, con il suo progredire, la pancia assume una forma innaturale, strana, e tende a gonfiarsi con il passare delle ore del giorno. I movimenti intestinali (peristalsi), col tempo diventano evidenti a occhio nudo e causano difficoltà digestive e respiratorie, senso di pesantezza al pavimento pelvico e incontinenza. Il lavoro non corretto della muscolatura addominale, comporta disturbi anche a livello della schiena. E l’attività fisica non solo non aiuta, ma addirittura peggiora la situazione.

L’unico modo insomma per risolvere i problemi sono i ferri di un chirurgo. E l’operazione non è nemmeno delle più semplici. Ma nonostante questo i chirurghi fanno molta resistenza a individuare questa operazione come necessaria, e spesso la declassano a «questione estetica».

Così è successo a Domenico Cubeddu. «Quando la situazione della mia pancia ha iniziato a peggiorare – racconta – alla fine mi sono deciso. E, per evitare di perdere tempo, sono andato da un chirurgo plastico privato. Lui mi ha visitato e ha detto di non essere assolutamente in grado di operarmi, la mia diastasi era troppo seria. E si è detto preoccupato per la “mobilità” delle viscere, tanto da consigliarmi la visita da un gastrointerologo. Anche in questo caso lo specialista privato, dopo tutti gli accertamenti, ha concordato sul fatto che fosse necessaria un’operazione chirurgica, e mi ha consigliato di rivolgermi al servizio sanitario nazionale».

Domenico chiama il Cup e riesce a fissare la visita in tempi ragionevoli, il 18 settembre. Nel mentre, pur continuando a lavorare, lascia la sua amata palestra, e non va nemmeno una volta al mare. «Posso sembrare vanitoso – spiega – ma non è così. Ho sempre tenuto al mio corpo, sono giovane, e non sopporto di vedere la mia pancia con questo enorme rigonfiamento nel mezzo. E comunque i dolori si fanno sentire sempre di più, e devo dire che non ho avuto davvero voglia di fare vacanza».

La sospirata visita arriva. Ed è un’enorme delusione. Il chirurgo dell’Aou fa infatti un controllo sommario, e liquida la diastasi di Domenico come «addome glabbroso» che «esula dall’ambito della chirurgia generale», e gli consiglia un consulto da un chirurgo plastico. «Sono rimasto a bocca aperta – spiega Domenico – anche perché il chirurgo è stato molto frettoloso, e molto scortese. Al limite dell’aggressivo. Quando gli ho parlato dei forti dolori addominali mi ha detto che non era vero. Quando gli ho fatto presente che il distacco era di 12 centimetri, e le linee guida dicevano che dopo i 3 centimetri era indispensabile un intervento, quasi mi ha buttato fuori dallo studio».

Alla fine non c’è nulla da fare. E a Domenico non rimane che iscriversi a un gruppo nazionale di “uomini con la diastasi” che raccontano le loro storie e cercano un modo di avere giustizia. «Io non mi rassegno – chiude Domenico –. Non accetto che, a 52, anni, mi si possa dire: rassegnati e convivi con questa cosa perché io non ti voglio operare. Sono sicuro di essere nel giusto. E so che ci sono molti uomini e donne che vivono il mio stesso incubo. Riuscirò a ottenere la mia operazione, e il giorno dopo porterò in tribunale quel chirurgo frettoloso e tutta l’Aou se è necessario. Perchè non si gioca con la vita della gente, e con la loro felicità».

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