La Nuova Sardegna

Sassari

«La verità di Bigella ha una logica ferrea»

di Nadia Cossu
«La verità di Bigella ha una logica ferrea»

Per i giudici il superpentito è attendibile. Seicento pagine per motivare i tre ergastoli inflitti per la morte del detenuto Erittu

16 novembre 2019
4 MINUTI DI LETTURA





SASSARI. Il superpentito Giuseppe Bigella è attendibile. E lo è a tal punto che il suo racconto – e in particolare la chiamata in correità di altre tre persone nell’omicidio del detenuto Marco Erittu – rispecchia perfettamente ciò che avvenne dodici anni fa in una cella dell’ex carcere di San Sebastiano.

Secondo i giudici della corte d’assise d’appello, che lo scorso maggio hanno inflitto tre ergastoli per quel delitto del 18 novembre 2007, «un peso enorme» nella valutazione dell’attendibilità di Bigella lo assume il fatto «che egli abbia confessato un delitto estremamente grave, punibile con l’ergastolo, attribuendosi il ruolo principale di esecutore materiale, senza affatto nascondere o ridimensionare le sue responsabilità. Ed abbia reso tali dichiarazioni del tutto spontaneamente, senza che mai fosse stato adombrato il benché minimo sospetto a suo carico e anzi fornendo una versione del tutto contrastante con quella accreditata...».

Seicentodue pagine per ricostruire i motivi che hanno portato i giudici di secondo grado a ribaltare il verdetto della corte d’assise che nel 2014 aveva assolto dall’accusa di omicidio gli imputati Pino Vandi, Nicolino Pinna (entrambi detenuti all’epoca a San Sebastiano) e l’agente di polizia penitenziaria Mario Sanna, indicato dall’accusa come colui che aprì la cella della vittima consentendo a Bigella e ai complici di mettere in atto il piano per uccidere Marco Erittu. Altri due agenti, Giuseppe Soggiu e Gianfranco Faedda, erano accusati di favoreggiamento. Entrambi furono assolti nel 2014, ma in appello Faedda è stato condannato a tre anni e 4 mesi.

I giudici di primo grado avevano ritenuto infondate le dichiarazioni accusatorie di Bigella perché non avrebbero trovato nelle risultanze del processo elementi di riscontro «idonei e dotati di un minimo di certezza, tali da far ragionevolmente ritenere che la morte di Erittu fosse da ricondursi a un omicidio piuttosto che a un suicidio, così come concluso nel 2007».

«Erittu, non nuovo a episodi di autolesionismo, si è strangolato con una striscia di coperta», si disse all’epoca. Poi arrivarono le dichiarazioni di Giuseppe Bigella: il pentito rivelò che Erittu era un personaggio “scomodo” perché voleva raccontare alla magistratura quello che sapeva sulla tragica fine di Giuseppe Sechi, il muratore di Ossi scomparso nel 1994 a Sorso. Un pezzo di cartilagine dell’orecchio di Sechi venne inviato alla famiglia del farmacista orunese Paoletto Ruiu, rapito il 22 ottobre 1993 e, come Sechi, mai tornato a casa.

Erittu diceva di sapere molto sulla sparizione di Sechi; e, in particolare, il fatto che fosse da attribuire a Vandi, che si sarebbe mosso in soccorso della banda che aveva rapito Ruiu e alla quale però era scappata la mano. Nel senso che Ruiu era morto, ma per tenere in piedi la trattativa con la sua famiglia – alla quale era stato chiesto un miliardo di lire per il riscatto – bisognava produrre una prova in vita del loro caro. E così si sarebbero serviti del povero Sechi. A Erittu – che aveva scritto una lettera indirizzata all’allora procuratore – bisognava in sostanza tappare la bocca, secondo l’accusa.

La corte d’assise d’appello presieduta da Plinia Azzena (a latere Marina Capitta) ritiene che Erittu non avrebbe ottenuto alcun vantaggio dalla sua confessione, contrariamente a quanto più volte ribadito invece dal collegio difensivo (i tre condannati all’ergastolo sono difesi dagli avvocati Agostinangelo Marras, Patrizio Rovelli, Fabrizio Rubiu e Luca Sciaccaluga). «Né può ritenersi – aggiungono i giudici – che sia stato spinto a siffatte rivelazioni per essere ammesso al regime dei collaboratori di giustizia» perché per ottenere questo “riconoscimento” sarebbero state sufficienti le sue «propalazioni in ordine al reato di associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti all’interno del carcere di San Sebastiano». Non solo. «Nel rendere una versione così dirompente e circostanziata rispetto all’esito degli accertamenti fino ad allora svolti, Bigella si è esposto all’altissimo rischio di essere smentito...», perché se i tanti particolari forniti fossero poi risultati falsi «avrebbero pregiudicato irreversibilmente la sua attendibilità». Nel verdetto di secondo grado il racconto di Bigella è definito «sempre coerente, di una logica ferrea, con rivelazioni inedite pienamente riscontrate». Gli accertamenti eseguiti avrebbero confermato «anche nei dettagli gli accadimenti da lui narrati, smentendo la precedente ricostruzione dei fatti e svelando che essa si fondava su elementi conoscitivi inficiati da un pesante inquinamento probatorio». E proprio quest’ultimo aspetto, e in particolare la «marcata alterazione dello stato della cella in cui il povero detenuto aveva perso la vita» è stato un altro degli elementi su cui la corte si è soffermata. Un grande peso nella decisione finale lo ha avuto inoltre la nuova consulenza tecnica di Lafisca. Il perito aveva rimesso in piedi l’ipotesi del soffocamento con un sacchetto di plastica di cui aveva parlato Bigella quando raccontò agli inquirenti di aver soffocato Erittu con una busta di cellophane e poi di aver lasciato a Pinna il compito di simulare un suicidio per impiccagione.

In Primo Piano
La polemica

Pro vita e aborto, nell’isola è allarme per le nuove norme

di Andrea Sini
Le nostre iniziative