Sassari, un “manicotto termico” per trovare subito la vena
Luigi Soriga
Una ex infermiera professionale cede il brevetto del vasodilatatore periferico. Nicoletta Sanna: «Scaldi il braccio, richiami il sangue e il prelievo è più facile»
27 novembre 2019
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SASSARI. L’idea alla fine è semplice semplice: come fai a trovare subito una vena? Scaldi il braccio, la dilati richiamando il sangue in superficie, e l’ago entrerà più facilmente. Non occorre mica una laurea per capirlo. E infatti Nicoletta Sanna la laurea non ce l’ha, ma ha alle spalle cinquant’anni di esperienza come infermiera professionale. «Non avete idea di quanta rabbia provi quando vedo certi avambracci martoriati e lividi – dice – con l’assistenza domiciliare mi sono presa cura di molti pazienti oncologici, e la chemio devasta le vene. Fare un prelievo, senza alcuni accorgimenti, può diventare un calvario».
Così a Nicoletta Sanna già nel 2003 si era accesa la lampadina: «Invece di usare la borsa dell’acqua calda, o strofinare a lungo il braccio, perché non inventare un aggeggio che scaldasse quella parte del corpo e dilatasse naturalmente le vene?». L’idea del “manicotto termico”, ovvero di un vasodilatatore periferico, è nata così. «Il prototipo è assolutamente semplice e artigianale – spiega Nicoletta Sanna – Per la parte elettronica mi sono fatta aiutare da due docenti dell’Istituto Ipia. Una serpentina alimentata a 12 volt, un rivestimento di tela, un termostato che spenga l’apparecchio a 58 gradi, che diventano 38 a contatto con la pelle, e infine del velcro per avvolgere al braccio. Tutto qui. Un apparecchio semplice ed economico, molto di più degli evidenziatori delle vene a infrarossi, e vi assicuro che funziona davvero». Centinaia di pazienti lo hanno potuto testare, evitandosi la pena di essere bucherellati inutilmente. Ma alla fine il brevetto non è mai stato sviluppato e commercializzato. «Sono una molto cocciuta e non mi arrendo facilmente. Ho bussato davvero a tutte le porte, inviando mail alle case farmaceutiche, agli ospedali, ai primari. Ho contattato anche aziende americane. Ho sempre riscontato grande curiosità e interesse per l’idea, ma nessuna voglia di concretizzarla veramente. Ormai sono anni che pago per conservare il brevetto, e si tratta di cifre impegnative che non mi sento più di investire. Resto assolutamente convinta della bontà e della efficacia della mia idea, che sono sempre pronta a dimostrare sul campo. Ma quello che ora mi sento di fare è cedere il mio brevetto a uno studente di medicina o a qualcuno che abbia voglia di aggiornarlo e di portarlo avanti. Sono trascorsi quasi vent’anni dalla mia idea, e sicuramente la tecnologia può offrire dei sensibili miglioramenti. Ma il principio è immutato: il calore richiama l’afflusso del sangue, dilata le vene, le rende più visibili e palpabili. E rende il compito di un’infermiera più semplice, e la vita del paziente più serena».
Così a Nicoletta Sanna già nel 2003 si era accesa la lampadina: «Invece di usare la borsa dell’acqua calda, o strofinare a lungo il braccio, perché non inventare un aggeggio che scaldasse quella parte del corpo e dilatasse naturalmente le vene?». L’idea del “manicotto termico”, ovvero di un vasodilatatore periferico, è nata così. «Il prototipo è assolutamente semplice e artigianale – spiega Nicoletta Sanna – Per la parte elettronica mi sono fatta aiutare da due docenti dell’Istituto Ipia. Una serpentina alimentata a 12 volt, un rivestimento di tela, un termostato che spenga l’apparecchio a 58 gradi, che diventano 38 a contatto con la pelle, e infine del velcro per avvolgere al braccio. Tutto qui. Un apparecchio semplice ed economico, molto di più degli evidenziatori delle vene a infrarossi, e vi assicuro che funziona davvero». Centinaia di pazienti lo hanno potuto testare, evitandosi la pena di essere bucherellati inutilmente. Ma alla fine il brevetto non è mai stato sviluppato e commercializzato. «Sono una molto cocciuta e non mi arrendo facilmente. Ho bussato davvero a tutte le porte, inviando mail alle case farmaceutiche, agli ospedali, ai primari. Ho contattato anche aziende americane. Ho sempre riscontato grande curiosità e interesse per l’idea, ma nessuna voglia di concretizzarla veramente. Ormai sono anni che pago per conservare il brevetto, e si tratta di cifre impegnative che non mi sento più di investire. Resto assolutamente convinta della bontà e della efficacia della mia idea, che sono sempre pronta a dimostrare sul campo. Ma quello che ora mi sento di fare è cedere il mio brevetto a uno studente di medicina o a qualcuno che abbia voglia di aggiornarlo e di portarlo avanti. Sono trascorsi quasi vent’anni dalla mia idea, e sicuramente la tecnologia può offrire dei sensibili miglioramenti. Ma il principio è immutato: il calore richiama l’afflusso del sangue, dilata le vene, le rende più visibili e palpabili. E rende il compito di un’infermiera più semplice, e la vita del paziente più serena».