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Coronavirus a Sassari: «Dializzati e infetti: ecco il nostro inferno»

Luigi Soriga
Coronavirus a Sassari: «Dializzati e infetti: ecco il nostro inferno»

Dopo la denuncia sulla Nuova Sardegna, la replica dell’Aou: l’assistenza non è di nostra competenza

25 marzo 2020
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SASSARI. Per medicare una gamba che sta andando in cancrena, ci vuole molto amore. Oppure la ostinata forza di sopravvivere. «C’è la pelle a brandelli, ci sono le ossa che spuntano dalla carne, buchi che sembrano crateri». Elisabetta e la mamma ci impiegano un’ora per avvolgere ciò che resta dei polpacci e delle caviglie del padre. È un’operazione delicata, che andrebbe fatta da mani esperte e professionali. Loro nei gesti ci possono mettere solo tutte le premure e l’affetto del mondo. Ma è l’arte di arrangiarsi di chi è disperato. Indossano guanti, le mascherine che riescono a raccattare, perché il padre è un paziente dializzato, non è in grado di camminare e badare a sè, e in più è positivo al coronavirus. Per fortuna è asintomatico, sta bene, ma si trova in una condizione di appestato, recluso assieme a moglie, figlia, genero e nipotino di 8 anni. Solo che lui, questo isolamento blindato non se lo può permettere. Gli operatori dell’Adi hanno sospeso l’assistenza domiciliare, perché non posseggono adeguati dpi. Non si trova neanche un infermiere munito delle dotazioni di sicurezza, disposto a lavorare privatamente. Dunque si attinge alla forza interiore e all’intraprendenza del fai da te. «Presente un cane abbandonato al suo destino il 20 luglio in autostrada?», aveva detto la figlia nell’articolo pubblicato sulla Nuova due giorni fa. La situazione non è cambiata, e anche le precisazioni dell’Aou sulla gestione dei pazienti dializzati infettati all’ospedale Santissima Annunziata, sono una conferma che ammalarsi di coronavirus possa trasformarsi in un salto nel vuoto, senza paracadute.

Quando si è scoperto un caso di covid-19 in dialisi, i pazienti sono stati sottoposti a tampone. I parenti dei dializzati sono stati costretti a portarli a casa con i propri mezzi, facendoli sedere al loro fianco in auto, senza mascherine e protezioni. Una procedura che ha lasciato sconcertati i familiari: «Io venerdì ho contattato il numero 800311377 – racconta Maria Grazia – e dopo aver esposto il problema, cioè che mia madre era risultata positiva e la stavano facendo rientrare con noi, mi hanno risposto che l’ospedale stava violando tutti i protocolli». Però la replica dell’Aou è questa: «I percorsi da e per l'ospedale quindi i mezzi utilizzati, a esempio le ambulanze, l'assistenza a domicilio e ogni altra attività svolta all'esterno dell'ospedale non ci competono». Il problema è che nessuno, a quanto pare si assume le responsabilità: «Se questa è la gestione dell’emergenza, non ci si deve stupire se sarà impossibile fermare i contagi – dice Elisabetta – mio padre è stato mandato a casa senza alcuna precauzione ed è venuto a contatto con un’equipe del 118 prima delle protezioni adeguate, questi avranno familiari. A me non è stato nemmeno detto di stare in quarantena, e se l’ho fatto, ancor prima di avere l’esito positivo del tampone, è perché sono una persona coscienziosa. Ma se non si seguono regole e protocolli, qui si continuerà a morire».

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