La Nuova Sardegna

Sassari

«Serviva unità, siamo solo un branco»

«Serviva unità, siamo solo un branco»

Pronto soccorso, riflessione di uno dei firmatari della lettera che divide il fronte

15 aprile 2020
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SASSARI. Nei giorni scorsi è trapelata una lettera interna, firmata da una gran parte di medici e infermieri del Pronto Soccorso di Sassari, una sorta di attestato di stima per Paolo Pinna Parpaglia, facente funzioni durante l’assenza (e fino al riemtro) del direttore titolare Mario Oppes. Ora da alcuni dei firmatari arrivano prese di distanze e chiarimenti, come quello che pubblichiamo.

«Sono uno di quegli operatori che hanno firmato la lettera. All'inizio mi sembrava una cosa utile perchè effettivamente in quella fase c’era una sorta di eccitazione per qualcosa di nuovo. Organizzavamo una battaglia per combattere contro un virus che faceva paura. Sembravamo un esercito. Ma solo dopo ho capito che facevo parte di un gioco che aveva sopratutto un altro obiettivo».

«Non era una lettera di ringraziamento quella che ho firmato. C’era un altro fine. Poteva finire così, con un regalo o poche righe che potevano rimanere tra di noi. Invece poi qualcuno ha proposto un articolo, sono spuntate le voci di inviare la lettera di qua e di là... E purtroppo non ho avuto il coraggio di tirarmi indietro. Ho avuto paura di dire no. Ma in questo momento, ora dopo ora, dopo quella lettera pubblicata mi vergogno».

La riflessione prosegue. «Questo doveva essere il momento dell’unità e della comprensione. Invece è stata una resa dei conti inutile per tutti. Soprattutto per i pazienti che sono stati per tanti un finto obiettivo. Non per tutti. Abbiamo ancora tanti morti e gente che si contagia ogni giorno. E noi sicuramente non siamo stati perfetti. Lo sanno tutti qui dentro. Nessuno lo potrebbe essere forse. Ma non c'è da festeggiare un bel niente. Ma neanche colpevolizzare».

«Non devo festeggiare e ringraziare. Non posso dimenticare i pazienti lasciati ore e ore prima di essere intubati dentro il nostro ambulatorio. Sopratutto uno, troppo giovane, una notte terribile. Eravamo disorientati senza dircelo.

Ci sono state anche altre cose. A volte abbiamo perso il nostro ruolo di accettare chi sta male. Solo perchè contagiato. Me ne vergogno. Ho capito dopo. Abbiamo visto e fatto molto di più tante notti con gli incidenti stradali, le aggressioni e le liste infinite di gente che stava male...Nessuno ci ha aiutato».

Poi la parte finale. «Ma non c'è nessuna paura, nessun ripiombare nel terrore adesso che un medico è stato rimesso al suo posto. Chi lo dice è due volte in malafede. Abbiamo lavorato anche peggio con carichi esagerati, ma nessuno si è mai proposto di darci una mano. Neanche chi oggi ringraziamo. E non abbiamo mai perso la nostra dignità, neanche quando abbiamo sbattuto tutto per la fatica e per il fatto che un intero ospedale ci lasciava soli. Oggi invece si, siamo così. Siamo diventati un branco».



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