La Nuova Sardegna

Sassari

La scienziata sassarese Raffatellu: "La Sardegna Covid-free modello per altre regioni"

Silvia Sanna
Manuela Raffatellu
Manuela Raffatellu

Professore ordinario all'università di San Diego, è favorevole ai test a tappeto anti-contagio e a seguire l'esempio vincente di Taiwan e Nuova Zelanda

23 aprile 2020
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SASSARI. Ha capito che non provocava una semplice influenza quando sono morte persone giovani senza altre patologie, come ad esempio Li Wenliang, 34 anni, il medico di Wuhan che per primo ha lanciato l'allarme sul Covid-19. «Mi ha ricordato molto quello che accadde nel 2003, quando Carlo Urbani, medico italiano, morì subito dopo essere avere descritto la Sars come una nuova infezione respiratoria altamente contagiosa». Manuela Raffatellu, 44 anni, microbiologa e immunologa sassarese, da due anni professore ordinario all'Università di San Diego, in California, lavora senza sosta nonostante l'Ateneo sia chiuso. «Da circa un mese è tutto fermo - racconta - a parte le attività essenziali. Come in Italia, come in Sardegna. E anche qui, per fortuna, la curva dei contagi sta scendendo».

Manuela, stella della scienza mondiale, non è impegnata direttamente sulla ricerca Covid ma il team che lei dirige ha messo a disposizione i suoi studi: «I nostri lavori sulla risposta immunitaria durante le infezioni potrebbero essere utili. Inoltre abbiamo fornito un nostro strumento per l'analisi degli acidi nucleici per uno studio sulla presenza del virus nella popolazione in modo globale, analizzando migliaia di campioni al giorno. Le persone del mio laboratorio si sono rese disponibili ad aiutare in questo studio».

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Come valuta l'attività portata avanti dalla ricerca, che tempi ritiene ci siano per ottenere il vaccino?
«La ricerca è essenziale e il supporto finanziario è fondamentale, non solo in tempi di crisi. La ragione per cui la ricerca sul Covid-19 sta facendo passi da gigante in tempi brevi è che molti scienziati bravissimi hanno studiato virus simili al Sars-CoV-2 per decenni. Questi scienziati hanno potuto adattare i loro laboratori a studiare questo virus nuovo. Se la loro ricerca precedente con altri coronavirus non fosse stata finanziata e supportata non sarebbero potuto essere così preparati. Per quanto riguarda la tempistica del vaccino, mi affido alle parole degli scienziati impegnati in questo campo. La dottoressa Kizzmekia Corbett, lo scienziato dell'Nih - National institutes of health - a capo dello sviluppo del vaccino, ha detto che negli Usa il vaccino potrebbe essere disponibile per le persone che lavorano in ambito sanitario a settembre, e nella popolazione generale il prossimo aprile».

In attesa del vaccino l'unica arma contro il virus sono i farmaci. Quale è la sua valutazione sulle terapie adottate sinora?
«Le linee guida dell'Nih indicano che non ci sono al momento terapie di comprovata efficacia per i casi severi di Covid-19. L'unico modo per migliorare le terapie è fare dei trial clinici e modificare le terapie basandosi sui risultati. Ad esempio, l'uso di idrossiclorichina e l'azitromicina è stato proposto come terapia e proprio oggi l'Nih, basandosi sui risultati di un trial clinico, ha sconsigliato l'uso di questi due farmaci in combinazione perché possono causare la morte cardiaca improvvisa. Premesso che al momento tutte le terapie sono sperimentali, il farmaco antivirale Remdesivir sembra promettente. È anche in corso la sperimentazione di alcuni farmaci per bloccare la tempesta di citochine (molecole infiammatorie) che sembra avvenire nei casi più gravi. Sia in alcuni centri italiani (ad esempio, il San Matteo di Pavia) che in molti centri americani si stanno trattando dei pazienti gravi in via sperimentale con il siero iperimmune preso dai pazienti convalescenti. L'idea è che il siero delle persone convalescenti contenga degli anticorpi in grado di neutralizzare il virus. I risultati sembrano promettenti, ma anche in questo caso bisognerà aspettare il risultato dei trial clinici».

L'Italia sembra essere uscita dal periodo più critico e si parla di fase 2 con riaperture graduali a partire dall'inizio di maggio. Quali cautele dovranno essere adottate?
«Sottoscrivo ciò che propone il Patto trasversale per la Scienza. Bisognerà essere preparati a tracciare il virus facendo tamponi ed esami sierologici a tappeto. Si dovrà riprendere con l'isolamento individuale e il distanziamento sociale laddove si verifichino focolai. Alcuni ipotizzano che il Sars-CoV-2, come moltissimi virus respiratori, potrebbe circolare meno in estate, ma riprendere in autunno. Bisogna essere preparati anche a questa evenienza».

In Sardegna i focolai sono partiti negli ospedali e nelle case di riposo. Che cosa non ha funzionato?
«Purtroppo questo virus ha colto molti impreparati e ha messo a nudo delle carenze che erano già presenti nel sistema sanitario di molti paesi, non solo della Sardegna. Penso che i tagli alla sanità non abbiano certo aiutato ad essere pronti per affrontare questa pandemia e il sovraccarico ospedaliero. Ogni paziente, indipendentemente dalla patologia per cui era ricoverato, doveva essere trattato come se fosse positivo. Gli operatori sanitari in tutti i reparti dovevano avere a disposizione e indossare i dispositivi di protezione individuale adeguati. I test andavano fatti a tappeto per isolare i pazienti e il personale sanitario positivi. Le case di riposo, purtroppo, sono state un focolaio un po' dappertutto, anche qui in America. Anche là bisognava prendere delle misure per fornire i dispositivi di protezione individuale agli operatori, fare i tamponi, isolare i positivi, e limitare l'accesso di persone esterne».

La Sardegna si candida a diventare una delle prime regioni Covid-free e 150 accademici hanno proposto di trasformarla in un grande laboratorio per studiare il virus. Che ne pensa?
«Penso che la Sardegna, essendo un'isola, abbia l'opportunità di essere Covid-free, decidendo in modo autonomo - e seguendo il parere degli scienziati e degli epidemiologi - come e quando riaprire ed essere così un modello per altre regioni. Per esempio, seguirei ciò che hanno fatto altre due isole, Taiwan e la Nuova Zelanda, che sono riuscite a contenere il virus, per ora con successo, praticando test a tappeto, distanziamento sociale e isolamento di chiunque entrasse nell'isola. Non per niente, The Atlantic ha appena scritto un articolo in cui descrive Jacinta Arden, 39 anni, primo ministro della Nuova Zelanda, come il capo di Stato più efficace al mondo».

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