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Detenuti in fuga da Alghero, in aula nuovi testi

ALGHERO. Si è incentrata sulle modalità (ancora evidentemente poco chiare) con le quali un telefono cellulare entrò nel carcere di Alghero, l’udienza del processo per una tentata evasione avvenuta...

25 settembre 2020
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ALGHERO. Si è incentrata sulle modalità (ancora evidentemente poco chiare) con le quali un telefono cellulare entrò nel carcere di Alghero, l’udienza del processo per una tentata evasione avvenuta nel 2013. Imputati, insieme a tre detenuti e tre loro familiari (tutti stranieri, difesi dagli avvocati Antonio Meloni, Roberto Delogu, Teresa Camoglio e Herika Dessì), c’è anche Giovanni Pirisi, un docente di 48 anni che insegnava nel corso di cucina organizzato dalla scuola alberghiera all’interno dello stesso istituto di pena. Secondo la Procura sarebbe stato lui a fornire alcuni strumenti per organizzare la fuga (arnesi da scasso e un telefono cellulare), in cambio di mille euro. Da qui la contestazione del reato di corruzione. Ma il suo avvocato Elias Vacca è di tutt’altro avviso e al commissario della polizia penitenziaria sentito in aula come testimone ha fatto precise domande su come lui e i colleghi avrebbero stabilito che fosse stato proprio Pirisi a far entrare il telefono in carcere. E sarebbero venute fuori delle incongruenze in particolare sulle celle agganciate da quel telefono.

Pirisi ha sempre negato di aver mai ricevuto soldi. Ha sì confermato di aver avuto contatti con la sorella di uno dei detenuti ma solo perché lei avrebbe voluto che il fratello venisse ammesso al livello di studio superiore per poter ottenere dei permessi. Richiesta che l’insegnante non avrebbe accolto. E sarebbe stata proprio la donna a fare il nome di Pirisi durante le indagini. Per la difesa si trattò di una vendetta. (na.co.)

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