La Nuova Sardegna

Sassari

Palazzo Ducale e quei nobili mal di pancia

di Paoletta Farina
Palazzo Ducale e quei nobili mal di pancia

Uno studio rivela che a metà Ottocento chi abitava la lussuosa dimora dovette fare i conti con malattie gastrointestinali

04 ottobre 2020
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SASSARI. La blasonata famiglia di Vincenzo Manca Amat, duca di Vallombrosa, che a metà Ottocento abitava nelle lussuose stanze di Palazzo Ducale, doveva fare i conti con malattie infettive e gastrointestinali. Conseguenza di una vita a stretto contatto con gli animali e di un menù a base di pesce e verdure crudi. Condizioni igieniche scarse, senza barriere a parassiti e batteri. Non era il tempo, insomma, dei disinfettanti e la pulizia personale e degli ambienti lasciava molto a desiderare. E anche il fisico ne risentiva. A svelarlo è uno studio internazionale condotto dai Dipartimenti di Scienze Biomediche e di Veterinaria dell’Università di Sassari, dalla Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per le province di Sassari e Nuoro, dal Dipartimento di Microbiologia e Immunologia dell’Università canadese di Halifax e dal Centro di ricerca dell’Università inglese di East Anglia. Il team si è concentrato sullo stile di vita condotto nell’edificio ora sede della municipalità e per farlo è andato a scavare nel pozzo nero delle cantine avviando uno studio di paleoparassitologia che è il primo condotto in Sardegna. «La ricerca – spiega Salvatore Rubino, docente di Microbiologia e Microbiologia clinica al Dipartimento di Scienze Biomediche dell’ateneo sassarese e a capo dello studio – ha evidenziato la presenza di parassiti intestinali in un pozzo nero situato nelle cantine del palazzo. Si tratta del primo studio di paleoparassitologia condotto in Sardegna, ancora più importante perché questa branca della paleopatologia, che studia gli antichi parassiti, permette di comprendere le condizioni di salute e lo stile di vita delle popolazioni passate a partire dagli scavi archeologici».

La ricerca, infatti, recentemente pubblicata sulla rivista internazionale Scientific Reports, si basa sull’analisi del Dna antico estratto dal sedimento del pozzo, un ambiente chiuso e favorevole alla conservazione delle uova dei parassiti. Sedimento che ha rivelato la presenza di quattro tipi di uova di parassita differenti, umani o animali, recuperate da campioni archeologici resistenti ai processi tafonomici, e cioè al tempo. Ad esempio, il Trichuris trichiura, i cui resti sono stati portati alla luce nel 2005 durante uno scavo archeologico, rivela il consumo, tra i sassaresi, di verdure crude coltivate negli orti vicino alle case e l’utilizzo del contenuto del pozzo come fertilizzante per le colture domestiche. Un parassita tipico delle comunità rurali delle aree tropicali e subtropicali, caratterizzate da malnutrizione e scarsa igiene. Invece il ritrovamento di Ascaris lumbricoides è determinato dalla vicinanza delle scuderie, che si trovavano proprio di fronte al palazzo. Le analisi archeozoologiche hanno mostrato, infatti, resti di animali, derivanti dal consumo di carne, e di macellazione. «Da sottolineare – continua Rubino – l’identificazione del patogeno zoonotico (che si trasmette cioè dagli animali all’uomo) Diphyllobothrium, spesso scoperto in contesti archeologici legati alla nobiltà. La sua presenza potrebbe essere collegata al consumo di pesce crudo o poco cotto».

Il ritrovamento, infine, di Dicrocoelium, che infetta principalmente ovini e caprini e, secondariamente, anche bovini, è secondo i ricercatori piuttosto interessante poiché in Sardegna è praticato l’allevamento ovino e bovino. Recentemente anticorpi contro il Dicrocoelium dendriticum sono stati identificati in un gran numero di pecore dell’isola. Ma quella scoperta nel pozzo di Palazzo Ducale è la prima prova della presenza di Dicrocoelium e Diphyllobotrium in Sardegna nel XIX secolo. «L’associazione tra archeologia e paleoanalisi – conclude Salvatore Rubino – ci permette di tracciare un quadro dello stile di vita e dello stato di salute degli abitanti del palazzo a metà Ottocento, quando l’edificio era il fulcro della vita dell’aristocrazia locale. Le condizioni erano di scarsa igiene e di vicinanza con gli animali e la maggior parte di loro era probabilmente affetta da diarrea e dissenteria. E in caso di infezioni gravi, possono essersi anche manifestati malnutrizione, debolezza e problemi nello sviluppo fisico».

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